
Gli americani non hanno dubbi al riguardo: la più amata è proprio lei, la bellissima e tenace Hermione Granger (Emma Watson), ammirata a tal punto da rubare lo storico primato alla raffinata Holly Golightly (Audrey Hepburn) e alla sua colazione da sogno.
Sarà che le principesse sono cadute nel dimenticatoio da un bel po’ o che qualsiasi donzella che si rispetti preferisca un’ avventura mozzafiato ai diamanti di Tiffany, ma il binomio diva-bambola non convince più come una volta. È chiaro che la bellezza non passerà mai di moda ma la donna che vive esclusivamente in funzione della sua dimensione emotiva e che confida sulla possibilità di trovare un uomo facoltoso per alleggerirsi di qualche responsabilità non può più trovare spazio sul gradino più alto del podio.
Nella società contemporanea le priorità sono altre, di conseguenza le eroine mutano forma e contenuto senza, però, calpestare il ricordo di ciò che è stato. Fa riflettere, infatti, un dato significativo: nella classifica del pubblico a stelle e strisce passato e presente continuano a convivere in armonia. Dunque, al terzo posto troviamo la mitica-indimenticabile-intramontabile Leia Organa (Carrie Fisher), imperatrice stellare e maestra di stile che mi auguro rimanga sul podio nei secoli a venire (finché ciò accadrà l’immaginario collettivo sarà degno di stima), al quarto posto lasciamo che ci strappi un sorriso consapevole e nostalgico Mary Poppins (Julie Andrews), la tata ideale dei bambini dal 1964 a oggi, mentre al quinto posto incontriamo la roccia Sarah Connor (Linda Hamilton), guerriera coraggiosa e madre del prescelto, il che è già un motivo sufficiente per garantirle la duratura approvazione all’unisono.
L’unico aspetto che lascia perplessi è la postazione di Mia Wallace (Uma Thurman), dal momento che l’ape regina per eccellenza trova spazio soltanto al dodicesimo posto della lista. Premettendo che avrei messo ben volentieri al collo della sposa più bella che gli stanchi occhi di Bill abbiano mai visto la medaglia d’oro, mi risulta difficile, se non incomprensibile, la ragione per cui una come Mia possa guadagnare un misero dodicesimo posto. Ma i gusti, si sa, sono insindacabili.
A questo punto, sarebbe interessante scoprire quali sorprese ci riservi il pubblico italiano, dal momento che il Bel paese può vantare una carrellata di mostri sacri in gonnella da fare invidia a chiunque, a volte persino alla Hollywood Factory che, tuttavia, vince facile perché gioca sui grandi numeri. Da Anna Magnani a Monica Vitti, da Sofia Loren a Claudia Cardinale, da Margherita Buy a Laura Morante e Claudia Gerini che continuano a mantenere alto il buon nome delle attrici italiane, si potrebbe elencare una serie infinita di personaggi femminili che ci hanno regalato grandi emozioni e, perché no, parecchi sorrisi.
I più attempati ricorderanno con piacere Assunta (Monica Vitti), la spassosissima ragazza con la pistola che si trasferisce nel Regno Unito per combinarne di tutti i colori o si commuoveranno pensando alla sfortunata Pina (Anna Magnani) schiacciata sotto il peso di una Roma affamata e crudele. Il fascino di Adelina/Anna/Mara (Sofia Loren) di Ieri, oggi, domani, invece, è scolpito tanto nella memoria dei più maturi quanto in quella dei giovani perché la Loren, così come la Cardinale sono il simbolo della bellezza e del talento mediterraneo, lo stesso che ha fatto gola anche a tanti registi oltreoceano.
Infine, anche gettando lo sguardo sul cinema contemporaneo si trovano delle piacevoli conferme. Chi non è rimasto senza parole di fronte al carisma con cui Antonia (Margherita Buy) ha trascinato nel suo universo caotico l’adorabile esercito di Fate ignoranti o chi non ha riso a crepapelle durante le nozze di Jessica (Claudia Gerini), considerate le più tamarre della storia del cinema italiano? E, se non bastasse, chi gradisce particolarmente la dimensione culturale non può non apprezzare gli irresistibili personaggi nevrotici e intellettuali interpretati da Laura Morante.
Ce n’è per tutti i gusti, insomma! Donne forti, spontanee, comiche, fiere del proprio vissuto e sprezzanti dell’opinione comune. Donne che, per un motivo o per un altro, ci hanno fatto sognare.









Non voglio percorrere ulteriormente il territorio dello spoiler, salvo per dire che i legami familiari sono radicati nel DNA di questo copione. Non solo Quinn ed Ego, ma Star Lord e suo padre surrogato, Yondu (Michael Rooker), il capo del Ravager che prima ha rapito Quinn da bambino e poi l’ha usato nella sua battaglia tra cacciatori di taglie.






Immaginate di essere un ragazzino, i genitori muoiono di fronte a voi, e vi ritrovate in una città sconosciuta. Sappiamo cosa è successo a Bruce Wayne quando ha assistito alla morte dei suoi genitori: è diventato un vigilante ossessionato e cupo. La storia di Danny Rand è un po’ diversa. Anche se torna a casa dopo 15 anni e scopre quanto è cambiato, è ancora abbastanza ottimista. Forse ha a che fare con la formazione e l’educazione che ha ricevuto. Forse ha avuto tutto il tempo di scatenare rabbia o frustrazione durante le sue esperienze. In ogni caso, è semplicemente più equilibrato di personaggi come Daredevil e Jessica Jones. È piacevole vedere un personaggio che ha una prospettiva più positiva sulle cose. Questo non vuol dire che Danny si vedrà in giro con un grande sorriso sul suo volto. Quando il momento arriva non esita ad agire. Questo, in una serie Marvel vuol dire: menare con calci e pugni un sacco di gente. Insieme con le sue abilità di arti marziali, ha la capacità d’incanalare il suo Chi, così da poter attingere l’energia sovrumana derivata dal cuore del serpente mistico Shou-Lao. Almeno, questa è la spiegazione fornita nei fumetti. La linea di fondo, però, è lo stesso: il suo pugno si illumina e diventa una arma devastante.
Nei fumetti, K’un-Lun è una delle “Capitali del Cielo” ed esiste in un’altra dimensione. La città appare solo nel regno terreno ogni 15 anni. Gli appassionati di fumetti si saranno chiesti come K’un-Lun potesse essere utilizzata dagli autori, se si ipotizzava e se potesse esistere effettivamente in un’altra dimensione. Danny lo spiega ad a un medico in uno dei primi episodi. Spesso gli elementi dai fumetti devono essere cambiati per la camera ma lo si può fare in maniera intelligente e per nulla cliché. K’un-Lun e il tempo che Danny vi ha trascorso sono una parte enorme di quello che forma il suo personaggio.
Durante il San Diego Comic-Con del 2016, Netflix ha mostrato un teaser per la serie The Defenders. È ormai noto che Iron Fist si unirà a Daredevil, Jessica Jones, e Luke Cage per fronteggiare una grossa minaccia. Mentre si guarda la serie di Iron Fist, lo spettatore fa la conoscenza con diverse parti di New York. Ritornano alcuni volti familiari, che fungono da trade union con gli altri personaggi dell’universo Marvel. Claire Temple, interpretata da Rosario Dawson, è diventata amica di uno dei personaggi che Danny incontra. Temple è l’ex infermiera che ha utilizzato le sue conoscenze per aiutare Daredevil, Jessica Jones, e Luke Cage. Sta diventando la Stan Lee della Marvel Universe Netflix, tanto da fare apparizioni in tutte le serie finora realizzate. Jeri Hogarth, interpretata da Carrie-Anne Moss, è stato introdotto nella serie Jessica Jones. Il suo personaggio è stato liberamente tratto Jeryn Hogarth, uno degli avvocati che lavora per Danny Rand nei fumetti. Si può facilmente immaginare che conoscere un avvocato, può essere utile quando il mondo crede che fossi morto da 15 anni. Misty Knight, introdotta in Luke Cage, dovrebbe apparire in uno degli ultimi episodi. Poi ci sono un paio di cattivi…
Ricordate Madame Gao da Daredevil stagione uno e due? Lei stava vendendo eroina che aveva riportava sul pacchetto un simbolo di serpente. Quel simbolo è simile al “tatuaggio” sul petto di Danny Rand. Quando Daredevil la affrontò, lei lo fece volare semplicemente con il palmo della mano. Rumors teorizzato che il personaggio abbia visitato K’un-Lun a un certo punto della sua, apparentemente, lunga vita. È possibile che possa rivelarsi una versione della Madre Gru della serie a fumetti “Immortal Iron Fist”, del 2007. La Madre Gru era un mistico e anche il sovrano di una delle altre leggendarie “Capitali del Cielo”. Se questo è il caso, Iron Fist avrà decisamente pane per i suoi denti. Anche la Mano fa il suo ritorno: un esercito di ninja malvagi non è mai una buona cosa.


L’anno è il 2029 e non nascono più mutanti da 25 anni. La maggioranza della razza mutante è morta e Wolverine alias Logan (Hugh Jackman) ora utilizza il suo nome di battesimo, ovvero James Howlett e si guadagna da vivere come un autista di limousine. I suoi poteri di guarigione hanno ormai iniziato da tempo a diminuire. Inoltre, per completare il tutto, Logan si trova ad accudire, in una struttura abbandonata vicino al confine degli Stati Uniti e Messico, il vecchio e malato professor Charles Xavier (Patrick Stewart), ora novantenne e classificato da parte del governo degli Stati Uniti come “arma di distruzione di massa” proprio a causa della sua incapacità di controllare al completo i suoi poteri mentali.
Questa è la premessa del terzo capitolo della saga dedicata al celeberrimo mutante con gli artigli di adamantio. Diretto da James Mangold, già regista di Wolverine l’immortale, Logan è il punto di arrivo di un raccordo iniziato diciassette anni. Logan è un film che non teme il confronto con il cinema mainstream, poiché anche se Logan si ispira liberamente alle famose graphic novel Marvel “Old Man Logan” e, “La Morte di Wolverine” (anche se in pochi hanno colto questo adattamento), il film ha molto di più in comune con pellicole del calibro di The Grey di Joe Carnahan. 








Il fil rouge che ha collegato tutti, dal presentatore all’ultimo premiato, si è basato molto sulle “barriere”, e sui “muri” culturali e non, che non dovrebbero esistere, una vera e propria denuncia nei confronti dell’attuale politica americana.
L’Italia ha il suo primo Oscar, ma non con Fuocoammare che non ce l’ha fatta. La strada è stata lunga, tanti premi, tante gratifiche. Ok, è stato tutto bello, però rode oggettivamente quando a un passo sfuma un sogno così grande. Invece l’italianissimo Bertolazzi vince come migliore make up per Suicide Squad. Ho avuto la fortuna di vedere questo film speciale nel suo genere. Nel discorso di ringraziamento si fa un omaggio a tutti gli immigrati italiani e non. A questo punto mi chiedo, in che percentuale c’è voglia d’insultare in diretta Trump!? Tanta…tantissima.
Ad annunciare il miglior film straniero arrivano due grandi, Charlize Theron e Shirley MacLaine, che ha letteralmente offuscato la presenza della bella sud africana. Nonostante i suoi duemila e passa anni (e cito la stessa Shirley MacLaine), la grande attrice ha una presenza scenica rara da trovare negli attori di oggi.
Come non ha mollato mai Casey Affleck che, nonostante la presenza già ingombrante del fratello, riesce a emergere, a conquistare il pubblico e strappa lo scettro come miglior attore protagonista. E credo che tutte le donne piagnucolose come me abbiano davvero per poco trattenuto le lacrime; è stata travolgente la sua sorpresa mista ad emozione e a quanto fosse grato a chi lo avesse votato, quasi in totale shock come se si trovasse lì per caso. Emma Stone insieme a lui festeggia in qualità di reginetta della serata, la sua performance, in Birdman aveva convinto ma non abbastanza da vincere, mentre il 2017 le ha portato bene e si porta a casa la statuetta tra le braccia di un Di Caprio senza orso addosso.

Eppure, grazie alla scenografia prodigiosa e alla determinazione con cui i protagonisti esortano lo spettatore a credere nelle proprie passioni (ben venga in un mondo fatto di qualunquismi e cinismo imperante!) è impossibile parlare di un mancato happy ending.















