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The Revenant – Redivivo: tra natura e sopravvivenza

By Film, NerdPensiero No Comments

The Revenant – Redivivo (tratto da una storia vera) racconta l’epica avventura di un uomo che cerca di sopravvivere grazie alla straordinaria forza del proprio spirito.

In una spedizione nelle terre americane, nel Nord degli odierni USA, l’esploratore Hugh Glass (Leonardo Di Caprio) viene brutalmente attaccato da un orso che difendeva i propri cuccioli portando il suo stesso gruppo di cacciatori a darlo per morto.

Nella sua lotta per la sopravvivenza, Glass sopporta inimmaginabili sofferenze, tra cui anche il tradimento del suo compagno John Fitzgerald (Tom Hardy). Mosso da una profonda determinazione e voglia di vendetta, Glass supera un duro inverno in solitaria, nonostante le ferite fisiche e psicologiche, e riesce a trovare la pace interiore dopo che realizza il proprio ideale.

Scritto e diretto da Alejandro González Iñárritu (Birdman, Babel), The Revenant – Redivivo ci pone degli spunti importanti di riflessione riguardo la natura umana, la forza di volontà e la cultura degli indiani americani.

Il film gira intorno al personaggio ed all’interpretazione magistrale di Leonardo Di Caprio anche se spesso si ha l’impressione che la vera protagonista di The Revenant sia la natura incontrastata e vergine, maestosa e quasi impossibile da identificare in questo moderno mondo dove la civilizzazione e l’industrializzazione hanno portato alla distruzione della maggior parte della stessa.

The_Revenant_4La pellicola ha già portato a casa 3 Golden Globes, i più importanti, cioè Miglior regia (Iñárritu), Miglior film drammatico e Miglior attore in un film drammatico (Di Caprio) inoltre ha ottenuto 12 candidature per gli Oscar2016, risultando il film con più nomination. Onestamente chi scrive pensa che almeno 5 li porterà a casa tra cui Miglior film, il tanto cercato Oscar per Leonardo Di Caprio, miglior fotografia. Possibile anche la vittoria, che sarebbe la seconda consecutiva dopo quello ricevuto per Birdman, per Alejandro González Iñárritu per la Miglior Regia.

The_Revenant_2The Revenant – Redivivo è un film importante, probabilmente il migliore di questo anno. Ci lascia delle immagini decisamente mozzafiato, con una natura ed una purezza incontaminata, una perseveranza e voglia di vivere fatta uomo (Hugh Glass / Leonardo Di Caprio) e una filosofia di vita derivante dagli antichi indiani d’America.

“Nel mezzo di una tempesta, se guardi i rami di un albero, giureresti che stia per cadere. Ma se guardi il suo tronco ti accorgerai ti quanto sia stabile.”

Per i Nerd sono 5 occhialini su 5.

occhiali nerd 5 su 5

Il Giappone, sesso e pornografia

By Anime&Manga, NerdPensiero

Tokyo, Giappone. Patria degli anime e manga, residenza di teen-idol e attività commerciali in cui si vende persino la “compagnìa”, molto della cultura giapponese sembra inneggiare alla pedopornografia. Almeno secondo Nadia Toffa, inviata della famosissima trasmissione italiana “Le Iene” che, nella puntata andata in onda ieri, ha realizzato un servizio sul Giappone basandosi su notizie poco veritiere.

Il tanto chiacchierato servizio, dal titolo “Solo fantasie sessuali o pedopornografia?”, è infine andato in onda come da programma ieri sera catalizzando l’attenzione di tutta la fanbase italiana, in larghissima parte indignata. In realtà ancor prima che il video fosse trasmesso si erano già visti numerosissimi commenti di protesta, ma una volta trasmessi i diciannove minuti e mezzo di servizio, la polemica che già covava, come la più devastante delle bombe, è definitivamente esplosa.


(Akihabara – Il quartiere maledetto)
Andiamo ad analizzare alcuni passaggi, i più controversi e discussi in rete, come l’iniziale “Ma manga vuole anche dire anche sesso, cioè cartoni porno, e porno in Giappone vuole anche dire bambine”, in un escamotage che sebbene metta al riparo da molte accuse di mal informazione, potrebbe portare il telespettatore ad accostamenti erronei del tipo porno=manga e anime=pedofilia. Mai, dalla nascita dei manga, le cui radici risalgono addirittura al 1600, quando il termine andava a definire le immagini che decoravano i bellissimi templi giapponesi, questa parola ha avuto un tale significato. Come molti sapranno esistono appositi termini atti per indicare i fumetti a fondo erotico, il più famoso dei quali è senza dubbio “hentai”, e non tutti i manga sono riconducibili a questa categoria .
Il fatto che nei minuti iniziali venga fatta passare l’immagine che ogni ragazza in piedi nelle strade di Tokyo vestita da “domestica” e con in mano un tariffario e dei volantini possa essere dedita ad attività a sfondo sessuale è solo uno degli errori del servizio di ieri. Nessuna delle ragazze intervistate in loco accenna a qualsivoglia prestazione sessuale. Il servizio prosegue con la visita ad un locale, che vi assicuriamo non trattarsi di un maid cafè convenzionale. Insomma, anche in questo caso c’è poca chiarezza su cosa venga mostrato, perché a molti è ben noto come tra la moltitudine di ragazze che affollano Akihabara per lavoro ci siano non poche “infiltrate”, ovvero ragazze che come mostrato nel servizio si mescolano alle dipendenti dei maid cafè con lo scopo di accalappiare in locali (come quello mostrato) i passanti. La maggior parte delle ragazze frequentanti il quartiere commerciale, sono semplicemente delle lavoratrici part-time dei numerosi maid-cafè che affollano i quartieri della capitale giapponese e questa è un’informazione che si può ottenere con una semplice ricerca web. A ridicolizzare il tutto, c’è una falsa traduzione data proprio dalla nostra Toffa: durante una sua intervista ad una ragazza giapponese, afferma che la ragazza in questione abbia 15anni, traduzione errata dato che l’intervistata pronuncia:”jukyu” parola che vuol dire 19 (ju=10 kyu=9).

 

(Le Maid dello Shinobazu Cafè ad Akihabara)

Altro punto controverso, il definire “filmato manga” quanto mostrato dopo circa sei minuti e mezzo di servizio. Infatti, onde evitare confusione, sarebbe stato il caso di definire la sequenza come “anime hentai” o anche solo “hentai”, così da evitare ai poco pratici della materia, di identificare erroneamente i fumetti giapponesi (questo realmente si intende col termine “manga”) con gli hentai.

(…Una comunissima scena di un filmato manga…)

Poi tocca ad un altro locale, anche qui assolutamente non un maid cafè (di fatto non ne viene mostrato nessuno nel servizio), sul quale ci sentiamo di concordare con Le Iene “è uno schifo”.
Un punto davvero controverso è invece quello legato alle idol, dove davvero la polemica è letteralmente scoppiata. Le informazioni riportate  in questa parte del servizio, sono certo veritiere ed è altrettanto vero che questa figura della cultura pop nipponica nasca dall’idea di far soldi in tutti i modi possibili, spennando i fan fino all’osso. Non che un simile fenomeno non esista con altre sfumature anche in Occidente. Tuttavia, chiamare in causa una gravure idol come rappresentante dell’intera categoria è apparsa a molti come una mossa volutamente fuorviante. Ancora una volta sembrerebbe che il significato dei termini sia stato del tutto travisato o quantomeno confuso. Con le bambole erotiche in scala 1:1 si è poi toccato il fondo. Ma a colare a picco è stata l’immagine del Giappone come terra paradisiaca, ma per chi da tempo segue ogni tipo di informazione relativa a questa terra, sa che il Giappone di paradisiaco ha ben poco.
Per finire, reputo il servizio interessante, ma è normale che la Toffa sia rimasta scandalizzata parlando da italiana e giudicando apertamente come una persona influenzata dal proprio sistema culturale (ma un vero giornalista non dovrebbe essere imparziale quando confronta la propria cultura con una totalmente diversa?)
Ci vuole più di quel servizio per parlare di quel fenomeno ormai diffuso in Giappone. Lì c’è una bella differenza tra fantasia sessuale e sesso reale e se le care Iene si fossero informate almeno un pochino, saprebbero che il numero dei giapponesi che preferiscono il sesso “immaginato” rispetto a quello reale cresce sempre più. Questo materiale pornografico (e lo confermano anche certi dati che sono facilmente reperibili) sta portando i giapponesi non ad un aumento della violenza, né all’aumento degli stupri, ma all’asessualità e con questo rispondo alla domanda posta alla fine del servizio. C’è più violenza e molestia sessuale in un qualsiasi autobus italiano che in un maid-cafè che, come voglio ripetere, è un semplicissimo bar!
Tornando al servizio, se sia stato volutamente impreciso o solo superficiale nel maneggiare alcuni termini e nel trattare alcuni fenomeni lo lasciamo decidere a voi.

 

(Alcuni commenti da parte di fan indignati)

A questo link potete vedere il servizio andado in onda su Le Iene: http://mdst.it/03v598099/

Daredevil: la nostra recensione sulla seconda stagione

By NerdPensiero, Serie TV

La seconda stagione di Daredevil è uscita questo scorso fine settimana su Netflix e come molti altri, ho abbracciato il modello “tutta la stagione subito” della società e mi sono piantato sul divano per vedere tutti e 13 episodi. La buona notizia? È eccellente. L’universo dei fumetti Marvel sta continuando lungo la strada più scura che ha iniziato lo scorso anno, e questa particolare visione del mondo supereroe continua a crescere e trovare i suoi piedi saldamente piantati in un mondo credibile e godibile da guardare.

New York City è di nuovo in pericolo, e il vigilante mascherato Daredevil deve affrontare nuove minacce che lo spingono al limite dei suoi poteri e della sua moralità. Dopo che l’eroe mascherato e suoi compagni ha messo in scacco Wilson Fisk, nella prima stagione, bande criminali rivali si scontrano per colmare il vuoto di potere lasciato dall’uomo che un giorno sarà il Kingpin (Fisk), ma un nuovo vigilante entra in gioco, portando con se un metodo di punizione che è più permanente di quello di Daredevil. Seconda stagione di “Daredevil”, basato sul personaggio della Marvel comics, è su Netflix ovunque in questo momento.

Se non volete nessun tipo di spoiler, vi suggeriamo di non andare avanti con la lettura.

Tutto ciò che riguarda questa stagione sembra un continuo della prima, che è fondamentalmente una cosa buona per questa serie eccellente. Charlie Cox dà a Matt Murdoch il giusto fascino e la giusta gravità impietrite che possono contagiare altri supereroi. C’è un’immediatezza alla serie che manca da alcune che ci si aspetta da un supereroe. Il Punisher di Jon Bernthal è fantastico. Il personaggio si cala perfettamente nella storia che risulta un personaggio con cui chiunque proverebbe empatia, e Bernthal ne indossa i panni con una tale naturalezza che ha sorpreso i fan più dubbioso. Jon Bernthal interpreta un grande Punisher, un uomo guidato da demoni di estrema brutalità. L’unica pecca è che ottiene il suo iconico simbolo troppo tardi, seppur in maniera epica. Elodie Yung è stata l’ultima attrice ad essere stata rivelata come attrice della serie (Elektra) ma la Yung cattura gli spettatore con la sua bravura in primis e con la sua bellezza poi.

La seconda stagione di Daredevil è interamente incentrata sulla moralità della giustizia del vigilante: o meno. Il sistema può essere attendibile per risolvere una città spezzata o se devono essere prese misure più estreme. L’azione è ancora una volta splendidamente girata, le luci al neon, e la fotografia in generale, calzano perfettamente quello che è il tono della serie, costituendo un ottimo contorno per la storia e la recitazione dei personaggi e per la città impeccabili sotto molti punti di vista. La serie inizia grosso modo pochi mesi dalla fine della prima stagione, In una New York abituata già da tempo ai “supereroi” ma adesso anche al vigilante di quartiere, tanto da chiamarlo Il Diavolo di Hell’s Kitchen.

Note particolari vanno a due scene: il primo, l’incontro tra Daredevil e Punisher è uno scontro di filosofia ispirata a un classico momento dai fumetti; il secondo è un omaggio alla prima stagione. La scena single-take della lotta tra i cattivi e il nostro eroe mentre scende le scale, è in realtà un omaggio alla famosa scena del corridoio, vista l’anno scorso Daredevil non è una serie sui supereroi… E’ LA SERIE sui Supereroi.

Per i nerd è 5 occhialini su 5.

occhiali nerd 5 su 5

Hai mai visto House of Cards?

By NerdPensiero, Serie TV No Comments

Sicuramente qualche vostro amico vi avrà parlato di una serie, una di quelle serie che secondo lui non potete non averla vista. Colui che ama il fantasy vi avrà detto Game of Thrones, chi ama la tematica zombie vi avrà sicuramente consigliato The Walking Dead. Chi ama la psicologia è rimasto ammaliato da Breaking Bad. I malati di serie tv vi avranno detto tutti e 3. Poi c’è una categoria nuova, coloro che vedono tutti gli episodi in meno di 4 giorni. Coloro che benedicono Netflix della creazione del fenomeno binge watching.

Binge watching è un termine inglese con cui si indica l’atto del binge-watch, ossia il guardare programmi televisivi per un periodo di tempo superiore al consueto, particolarmente l’usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza soste. In lingua italiana letteralmente traducibile con “maratona televisiva”, in inglese per tale azione sono anche usati i termini binge viewing e marathon viewing.
– Grazie Wikipedia –

House-of-Cards2Binge_watchingQuesto fenomeno ha visto il suo affermarsi nelle televisioni americane, che ormai sono chiamati Smart Tv, e successivamente anche in Italia grazie ad una singola serie: House of Cards; prodotta e trasmessa su Netflix. In Italia arriva per volere di Sky che acquisisce i diritti territoriali ed ancora ne detiene nonostante l’arrivo della più importante piattaforma di streaming nel Belpaese. Quando Netflix cedette a Sky i diritti non era minimamente pensabile che il servizio potesse arrivare in Italia, causa principale dovuta alle pessime condizioni delle infrastrutture del nostro paese nel campo della digitalizzazione e della vera e propria velocità di connessione (troppo scarsa per un servizio adeguato). Fortunatamente la diffusione della fibra ottica e l’aumento delle connessioni ADSL a 20 mega ha permesso alla società statunitense di arrivare anche nel nostro paese, dato che il problema di un eventuale eccessivo buffering è stato risolto.

Ma stavamo parlando di altro, stavamo parlando di come House of Cards ha potuto cambiare la cultura dei fruitori seriali. C’è da dire che due dei principali motivi che incollano lo spettatore così tanto da essere assuefatti sono:
1 – La storia. House of Cards parla di un politico, Frank Underwood eletto per l’undicesima volta consecutiva deputato al Congresso nel V Distretto della Carolina del Sud. La curiosità di poter sbirciare dentro il Congresso degli Stati Uniti d’America o dentro la Casa Bianca penso sia uno dei grandi motori di questa serie tv.
2 – Kevin Spacey. E forse non c’è neanche bisogno di dirvi perché.

Frank Underwood ci mostra tutto quello che potere, media, manipolazione e sagacia possano creare dei veri professionisti della politica. Poi sta a noi credere o pensare che alcune di queste “piccole” cose possano avverarsi veramente nella politica statunitense (qualcuno ha detto Donald Trump?) o addirittura italiana.
E proprio per questo io sono il vostro amico che vi sta consigliando una serie.

Esiste una regola sola. O cacci oppure viene cacciato.

House-of-Cards3La personalità di Frank rapisce chi vede House of Cards, con il personaggio che spesso rompe la parete della quarta dimensione per commentare con lo spettatore stesso quello che è appena successo, o meglio ancora, quello che sta per accadere. Per poi finire tutto secondo i suoi piani. Come sempre. Nonostante tutto. Nonostante mosse immorali o colpi di scena che mai ci saremmo aspettati.

House of Cards è una sinfonia dove tutti coloro che danzano lo fanno con un armonia complessa, ma perfetta.

Frank Underwood (Kevin Spacey) non è il solo che merita di essere menzionato, visto che, ovviamente, una sinfonia non può vedere un solo protagonista. Grande spazio quindi alla moglie di Frank, Clare Underwood.

Clare (Robin Wright), ricca figlia del Texas, fredda e calcolatrice. Perfetta per Frank, determinata e che fa poche domande. Tutti i politici vorrebbero una moglie così. Un matrimonio fondato sull’opportunismo.

Opportunismo che vediamo realizzarsi nel pieno della quarta stagione appena uscita in USA e che in Italia arriverà sul canale Sky Atlantic questa settimana.

—- Se non hai mai visto House of Cards ma vorresti cominciare fermati. Da ora in poi SPOILER sulla 4° stagione —

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La quarta stagione è decisamente quella della rivoluzione del personaggio interpretato da Robin Wright, che tra l’altro ha anche curato la regia di 4 episodi. La crisi coniugale con Frank che sfocia nell’abbandono della Casa Bianca alla fine della terza stagione è il simbolo della quarta. Clare fa armi e bagagli per tornare in Texas da sua madre, che scoprirà solo in un secondo momento della sua malattia.

Malattia che viene anche strumentalizzata, sia da Frank per giustificare l’assenza della propria consorte duranti i comizi delle agguerrite primarie con la Dunbar, sia da Clare quando ha bisogno di allontanarsi da Washington, sia dalla madre stessa, quando capisce che finalmente il sogno di lanciare la carriera di Clare è ad un passo. Decidendo per l’eutanasia proprio durante il congresso dei Democratici quando Clare è candidata come Vice Presidente.

Il tutto ci lascia basiti. Questa stagione rappresenta il riscatto di Clare dopo 30 anni vissuti per accompagnare Frank.

House-of-Cards5Underwood che oggettivamente non se l’è passata troppo bene. Viene sparato e quasi ucciso, si salva solo grazie ad un trapianto di fegato. Anche se non sarebbe toccato a lui, ma il suo più grande consigliere nonché capo staff della Casa Bianca, Doug Stamper (interpretato da Michael Kelly), riesce a modificare la lista dei trapianti salvando il Presidente. Ma questa azione genera dei rimorsi, dato che ha deliberatamente deciso di uccidere un padre in fin di vita.

Vecchi problemi tornano ed essere protagonisti, ci fanno intuire che a tutte le azioni corrispondono delle reazioni. Anche se ci vogliono anni, prima o poi, le cose possono ritornare. Come Peter Russo e Zoe Barnes. Personaggi che pesavo di non rivedere più tornano protagonisti (Raymond Tusk che risolve un grave crisi con la Russia, grazie alle fila tirate da Clare). Anche Freddy sembra aver girato le spalle al presidente.

Ma quello che sicuramente fa più rabbrividire è l’ultima scena. Tutto quello che succede riguardo ICO, che non è altro che la trasposizione di ciò che nella vita reale chiamiamo ISIS. Dove anche un attentato terroristico può essere strumentalizzato. Niente e nessuno fermerà gli Underwood. Anzi se ne approfittano.

Esatto. Noi non subiamo il terrore. Noi creiamo il terrore.

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Rainbow Moon – La nostra recensione

By NerdPensiero, Videogiochi

Prima di tutto, una breve ma doverosa anticipazione rivolta a tutti coloro i quali non conoscono il gioco in questione. Rainbow Moon è un titolo sviluppato da SideQuest Studios pubblicato originariamente nel 2012 su PlayStation 3 e, l’anno dopo, su PlayStation Vita. Il gioco, dopo aver ottenuto una serie di valutazioni positive, sbarca quest’anno anche su PlayStation 4 per tenere caldo il pubblico, in attesa dell’uscita del successore, Rainbow Skies, di cui ancora non si ha una data di pubblicazione certa. La versione presentata su PS4 non è però un remake/remastered o qualcosa di simile. Il gioco è un porting puro e semplice, senza quasi alcun miglioramento od aggiornamento a parte una leggera ripulitura grafica generale.


Grazie ai sub turn è possibile anche sconfiggere un esercito del genere.

Il titolo appare da subito diretto ed immediato. Una volta premuto su New Game parte immediatamente il video introduttivo che mostra il nostro eroe, ed alter ego videoludico, scaraventato all’interno di un portale dal suo acerrimo nemico. Tale portale ci fa finire all’interno di un mondo chiamato, appunto, Rainbow Moon ed il nostro obiettivo è quello di tornare indietro per chiuderlo. Questa è tutta la povera base del gioco, che in generale non brilla per originalità della trama. Le quest sono più che altro incentrate sulla risoluzione dei problemi dei cittadini che incontriamo lungo la nostra strada, problemi che una volta risolti ci permettono di andare avanti nella storia, e suddivise in Main e Side quest.


Il mondo di Rainbow Moon è presentato con una graziosissima grafica isometrica.

Appena iniziata la partita dobbiamo scegliere subito il livello di difficoltà, direttamente proporzionale praticamente soltanto al numero di ore che dobbiamo dedicare al grinding, e lo stile di gioco, che permette di avere diversi oggetti nel nostro inventario di partenza, differenziabili in equipaggiamento, pozioni curative o il nulla più totale. I nemici sono ben visibili nel mondo di gioco ma nel contempo, camminando, è possibile incappare in scontri casuali che, a differenza di altri titoli del genere, non partono in automatico. È necessario infatti premere X quando compare l’avviso dello scontro nell’angolo dello schermo per accettare il combattimento. Essi sono quelli tipici di uno strategico a turni, con la classica disposizione a scacchiera, attacchi, difesa e abilità che colpiscono entro un determinato range. All’aumentare del livello dei personaggi giocabili, in tutto tre (ed il terzo lo troverete dopo molte, molte ore di gioco) aumentano anche i sub turn ed è possibile eseguire diverse azioni durante il nostro turno.


Il numero di slot nell’inventario è ampliabile e dobbiamo sempre stare attenti alla barra della fame.

In Rainbow Moon è presente un rudimentale sistema di crafting che permette di potenziare le nostre armi ed armature tramite l’utilizzo di oggetti, ottenibili dai nemici o dalle casse sparse per il mondo di gioco. Tale azione non può essere compiuta dal nostro personaggio durante il suo girovagare ma soltanto da NPC dediti al ruolo. Oltre a loro, sono presenti anche commercianti, curatori e NPC da cui possiamo aumentare le nostre statistiche. Infatti, all’incrementare del livello del personaggio si allunga il limite a cui possiamo portare statistiche come forza, velocità, fortuna, difesa ed altre, che possiamo migliorare spendendo delle monete ottenibili sconfiggendo i mostri che ci si parano davanti. Durante le nostre partite, inoltre, dobbiamo stare attenti alla barra della fame, che scenderà inesorabilmente ed ininterrottamente ma facilmente riempibile mangiando o bevendo. Difficilmente vi trovate completamente a zero, le fiasche d’acqua si trovano praticamente ovunque.

Ben presto, però, ci troviamo subito di fronte ad un problema piuttosto grave: la noia. Rainbow Moon, almeno fino alla quarta/quinta ora di gioco, appare vuoto ed estremamente ripetitivo ed andando avanti, il tutto non viene migliorato poi di molto. L’unica cosa che impegnerà totalmente il giocatore è il grinding, l’eterno e soprattutto inevitabile grinding. Ai livelli più avanzati, la strategia è un elemento che viene messo totalmente in secondo piano dalla mole di nemici che siamo costretti a fronteggiare. Il nostro unico scopo, nelle battaglie, è potenziarsi il più possibile, sorpassare le statistiche del nemico per evitare semplicemente di morire e batterlo con relativa facilità. In compenso, le fasi di esplorazione del mondo costituiscono un efficace elemento di distrazione che ci permette di rilassarci tra una battaglia e l’altra ed impegnarci nella ricerca di qualche loot segreto. Rainbow Moon, tutto sommato, appare come uno strategico molto all’acqua di rose adatto a chi, magari, non ha dimestichezza nel genere ma non costituisce un possibile trampolino di lancio verso di esso, inducendo anzi il novizio ad evitarlo.

occhiali nerd 3 su 5

PRO

Possibilità di eseguire il cross save con le altre versioni
Grafica tutto sommato simpatica
Sistema di upgrade dei personaggi soddisfacente

CONTRO

Narrazione quasi assente
Ripetitivo
Fondamentalmente banale

Sistema – PlayStation 4

Genere – Gioco di ruolo strategico

Sviluppatore – SideQuest Studios

Distributore- SideQuest Studios

Lingua – Inglese

Multiplayer – Assente

Data di uscita – 17 febbraio 2016

Deadpool: tra eroi e ilarità surreale

By Film, NerdPensiero

Cari amici nerd, preparate i chimichanga, raffreddate le birre, affilate I coltelli e riscaldate le pistole, Il mercenario con la bocca più volgare dei fumetti approda finalmente al cinema con un film tutto suo. Ryan Reynolds aveva più volte dichiarato, a partire dal 2005, di voler fare un film su Deadpool, personaggio che aveva già interpretato nel disastroso “X Men Origins: Wolverine” ed oggi a 11 anni di distanza Deadpool il film è realtà. Ma Deadpoolnon è il solito Supereroe, anzi.

Deadpool è essenzialmente il primo film hollywoodiano fan made sui supereroi, ma è molto di più. Il film intero è una sbeffeggiatura rivolta a compiacere i fan dei fumetti e nerd vari in generale. I fan del sardonico mercenario, sanno che questo super anti-eroe è consapevole di essere un personaggio di pura fantasia, e la principale domanda sulla bocca di tutti era come poter rendere omaggio ad una figura così particolare di casa Marvel. Ma guardando il film questa preoccupazione non viene perché non c’è nessuna pretesa con Deadpool, nessuna preoccupazione profonda se non quella di divertirsi divertendo. Sia nei fumetti che in questo film, la ragione primaria per esistenza di Deadpool è quella di sottolineare quanto siano assurdi e ridicoli i supereroi. Ma anche se Deadpool cerca di prendere in giro il proprio genere, non significa che questo non sia un film di supereroi, anzi, forse ad oggi è il migliore. La trama del film è più o meno una origin story da supereroe convenzionale.Wade Wilson, ex membro dei corpi speciali, divenuto bullo a pagamento, si sottopone ad una terapia molto speciale per curare il suo cancro, terapia che attiva le sue capacità mutanti latenti, ma che lo lasciano deturpato fisicamente e mentalmente.

Così si veste di una tutina di spandex rossa (che ricorda molto quella di Spider Man e lo fa sembrare anche il peggior ninja del mondo) e va in giro a uccidere chiunque si metta sulla sua strada. E poiché Wade Wilson è così “scollegato” con la sua realtà, ha la tendenza a rompere la quarta parete e parlare con il pubblico, proprio perché, come detto prima, sa di essere un personaggio immaginario. Ryan Reynolds sembra essere nato per interpretare questo ruolo, che arricchisce con commenti dementi e gag ridicole improvvisate sul momento (come dimostrano i vari trailer ed il film finale, in cui le stesse scene vengono proposte ma con battute improvvisate diverse). Il punto del film non è proprio la trama, così come è, ma il carattere. I suoi occhi senza pupille bianche l’ampliamento e il restringimento in risposta all’azione. Il suo costante sbeffeggiare se stesso, il cinema e il genere a cui appartiene. I salti acrobatici. E’ questo che rende Deadpool un film così guardabile e divertente, e che rende godibile la sua intensa ultra-violenza condita con l’immancabile narrazione fuori campo che si interrompe con i dialoghi del protagonista durante l’azione e quasi “disturbando” gli altri personaggi.

Nel frattempo, Deadpool è sorta di un commentario alla cultura dei fan e dei supereroi, e di come sia artificiale tutta la faccenda delle maschere e dei costumi, ma anche il loro codice morale. Deadpool non indossa una maschera per nascondere la sua identità, ma solo per coprire la sua faccia sfregiata. Mentre alcuni dei momenti più divertenti del film includono lo scontro con un paio di membri degli X-Men, il metallico Colosso e la brontolosa Testata Mutante Negasonica.

Ma nel frattempo, il film scava anche nel nostro rapporto con la cultura pop in generale. Ma questo non cambia il fatto che Deadpool è un film super-divertente in cui la violenza estrema si combina con un’ilarità surreale per creare una sorta di meta-follia mai vista prima sul grande schermo.

Per i nerd è 4 occhialini su 5

occhiali nerd 4 su 5

Ha ancora senso, oggi, lo streaming illegale?

By NerdPensiero

Siamo oramai nel 2016, la tecnologia e la qualità dei servizi offerti al consumatore avanzano in maniera prepotente e costante ma, dando una rapida occhiata ai gruppi Facebook legati a cinema, serie tv o similari, si trova sempre la persona X che chiede:

Link BB streaming ita. plis (Traduzione: Potreste gentilmente fornirmi un link ove guardare la serie Breaking Bad in streaming? Grazie per la cortese attenzione.)

Ovviamente la frase scritta sopra è a mero scopo esemplificativo… può capitare che non sia Breaking Bad la serie cercata..

Ricolleghiamoci quindi al titolo di questo libero pensiero: oggi, nel 2016, ha ancora senso lo streaming illegale?
Parliamoci chiaramente, le piattaforme di streaming online on demand sono oramai numerose ed estremamente concorrenziali, di semplice ed immediata fruizione e disponibili praticamente su qualsiasi dispositivi elettronico, dalla Smart TV alle console da gioco ai cellulari. Quest’ultimi due elementi, inoltre, non necessitano nemmeno di essere di ultima generazione. Manca poco che siano incorporate anche nei frigoriferi!

Di solito, le principali accuse che si muovono ad esse sono la non gratuità del servizio e la mancanza di determinati elementi all’interno del catalogo. La prima si può risolvere in maniera semplice e veloce: ci si può permettere di pagare venti euro ogni due mesi per collegarsi ad Internet e non ci si può permettere l’enorme ed immondo sperpero di ben tre euro al mese per streaming sicuro, veloce e privo di pubblicità? Non voglio né devo fare i conti in tasca alle persone, ma sinceramente questa accusa mi sembra al limite del ridicolo.

La seconda, invece, ha già un suo fondamento. Questi servizi, se pur raggruppati tutti insieme, non possono materialmente avere al loro interno tutto ciò che è desiderato dagli utenti. Soprattutto in Italia, dove bisogna destreggiarsi in una foresta di copyright ed esclusive da parte di svariate emittenti, la situazione si complica e spesso, per film o serie TV (magari più vecchie e di più difficile reperimento), di cui non si trovano più nemmeno le VHS (ve le ricordate?), ci si deve obbligatoriamente rivolgere allo streaming illegale. Infatti, badate bene, io non condanno lo streaming nella sua totalità così come non ho mai condannato in toto l’emulazione di vecchi videogiochi. In un certo qual modo, essi ci permettono quasi di preservare una serie di creazioni che, nel tempo, andrebbero inevitabilmente o accidentalmente perse (se fosse esistito lo streaming a quei tempi, oggi probabilmente avremo una novantina di episodi in più della serie classica di Doctor Who).

Diamo ora una veloce occhiata alle maggiori piattaforme di streaming, partendo ovviamente da lui, Netflix, ultimo arrivato in Italia ma che ha già conquistato una buona fetta di pubblico arrivando a contare più di centomila abbonati. Società americana nata noleggiando DVD e videogiochi, offre oggi un catalogo vastissimo ed in continuo arricchimento contenente serie di produzione e pubblicazione esclusiva di altissima qualità, streaming fino a 4K ed il tutto ad un costo irrisorio. Infatti, la società offre e promuove la condivisione dell’account in modo da dividere i costi tra i nostri amici. Così un account da dieci euro che permette la visualizzazione contemporanea da due diversi dispositivi diventa un account da cinque euro. Uno da dodici euro, che consente fino a quattro diversi dispositivi connessi, diventa da soli tre euro dividendolo con altre tre persone. Casomai aveste dei dubbi, sfruttate il primo mese del servizio, è gratis!

Molto interessante è anche l’offerta di Infinity, servizio di streaming on demand appartenente al gruppo Mediaset, disponibile, così come già detto sopra e così come Netflix, praticamente ovunque. Dopo quindici giorni di prova gratuita potete decidere se sottoscrivere il servizio o meno, al costo di otto euro al mese, questa volta non divisibile tra amici. Un prezzo leggermente più alto per un’offerta che comprende però anche il sistema Download&Go, che permette di scaricare un film e guardarlo offline. Ovviamente sono posti dei limiti al tutto, ma rimane sempre un’ottimo servizio con un vasto catalogo, tra cui dominano soprattutto i film.

Leggermente diversa è l’offerta proposta da Sky Online. Dopo il classico mese di prova gratuita si può scegliere di sottoscrivere uno o più ticket mensili, divisi in Cinema, Intrattenimento e Calcio. I primi due a dieci euro al mese, il terzo a venti euro al mese. Come dice il nome stesso, il primo ticket è dedicato ai film, il secondo alle serie TV e l’ultimo dedicato agli eventi sportivi. Catalogo vasto, ottima lista di canali ad un prezzo, però, decisamente più elevato rispetto alle concorrenti.

Per gli appassionati di anime, poi, è impossibile non citare siti come VVVVID o Crunchyroll. Essi, a differenza dei primi di cui ho parlato, sono gratuiti, elemento che si ripercuote però sull’offerta all’utente. Infatti, nel caso di VVVVID, è presente l’inserimento di pubblicità all’interno dei video e richiede obbligatoriamente la disattivazione AD Block mentre Crunchyroll, con il suo piano base, propone una visione limitata di anime e manga, a 480p e con pubblicità, offrendo al contempo un servizio premium, a pagamento.

Io sono uno degli abbonati a Netflix e, dopo circa tre mesi di sottoscrizione, posso dire di essere pienamente soddisfatto. Divido l’account con un mio amico, mi godo una bella lista di serie TV e film e non devo sbattermi ogni sera a cercare link per trovare le puntate della serie TV che seguo in quel momento, destreggiandomi tra decine di finti pulsanti “Download”/”Streaming”, con svariate pagine pop up che compaiono dal nulla, strani reindirizzamenti a siti serbocroati, rischi inutili e buffering che sembrano non sparire mai (usando pure una connessione venti mega.. certi player sono infernali). Preferisco di gran lunga distendermi sul divano, prendere il pad della PS4/Wii U/Xbox One/Ps3/Chromecast o qualsiasi altro dispositivo dove sia fruibile Netflix, distendermi e godermi tranquillamente le mie serie in rigoroso e granitico 1080p.

La parola, adesso, a voi. Cosa ne pensate?

The Hateful Eight: difficile da odiare, ma difficile da amare

By Film, NerdPensiero

Teste che spesso vengono fatte saltare in aria esplodendo nel classico stile alla Quentin Tarantino, ambientazione minimale e location ridotte all’osso, narrazione non lineare, dialoghi pesanti, profondi, metaforici e ridondanti, splatter, poca azione, e origini scioccanti; molto semplicemente, The Hateful Eight è uno dei migliori e contemporaneamente peggiori film di Quentin Tarantino.

Chi di noi non ricorda le storie del selvaggio West con cui siamo cresciuti guardando in televisione? Django (quello originale con Franco Nero), Il Cavaliere Solitario, Lo Chiamavano Trinità, Lo Straniero dagli Occhi di Ghiaccio, Lucky Luke… Quentin Tarantino prende tutto il divertimento del selvaggio West e prima lo sconvolge e poi lo butta via. Le sparatorie fatte con lentezza sadica. Le uccisioni sono improvvise, erratiche, brutali e quasi snervanti; ma in The Hateful Eight tutto sembra assumere un senso logico.

Questa pellicola è certamente un ritorno alle pellicole su piccola-scala per il regista Italo-Americano. The Hateful Eight è un film completamente diverso da quello che Quentin Tarantino ha fatto negli ultimi 12 anni. Dopo la pausa che ha seguito il rilascio di Jackie Brown, l’autore ha trovato la sua carriera muovendo verso quello che potrebbe essere descritto più come film ‘epocali’; impiegando la sua enorme conoscenza dei grandi western cinematografici, di guerra e le caratteristiche del kung fu, ha consegnato storie mitiche su larga scala come Django Unchained, Bastardi senza gloria, e Kill Bill. Al contrario, The Hateful Eight è, evidentemente, il suo modo di tornare alle sue origini, palesi sono i richiami alle Iene. Tarantino omaggia anche altri generi e autori, in primis Agatha Christie alla quale il regista rende omaggio sia con l’ambientazione (Assassinio sull’oriente express, gli uomini bloccati dalla tormenta di neve) che nel racconto (Dieci piccoli indiani).

Il film inizia in modo spettacolare: panorami di montagna mozzafiato che poi danno spazio ad un crocifisso coperto di neve da cui la telecamera si allontana estremamente lentamente (abbinandosi perfettamente al tema composto da Ennio Morricone) per rivelare, come è solito di Tarantino, il titolo del primo capitolo intitolato “Ultima Fermata per Red Rock “. Una diligenza viaggia nell’innevato inverno del Wyoming. A bordo c’è il cacciatore di taglie John “The Hangman” (Il Boia) Ruth e la sua prigioniera Daisy Domergue, diretti verso la città di Red Rock dove la donna verrà consegnata alla giustizia. Lungo la strada, si aggiungono il Maggiore Marquis Warren, un ex soldato nero nordista diventato anche lui un famoso cacciatore di taglie, e Chris Mannix, che si presenta come nuovo sceriffo di Red Rock. Infuria la tempesta di neve e la compagnia trova rifugio presso l’emporio di Minnie, dove vengono accolti non dalla proprietaria, ma da quattro sconosciuti: il messicano Bob, il boia di Red Rock Oswaldo Mobray, il mandriano Joe Gage e il generale della Confederazione Sanford Smithers. La bufera blocca gli otto personaggi che ben presto capiscono che raggiungere la loro destinazione non sarà affatto semplice. Per molte ragioni.

In 3 ore di film, ai personaggi è dato ampio spazio per conversare. L’interpretazione e il tono dei dialoghi fa intendere che le cose che vengono dette sullo schermo siano importanti e profonde, e per molti versi è così, ma per il pubblico il tutto risulta noioso, tediante e a volte ridondante. Gli attori, tutti, sembrano aver bisogno di fare con un bel bagno caldo e un pasto cucinato in casa, cosa che rende assolutamente credibile un film ambientato nel cuore di un inverno freddo nel selvaggio west. Però il lavoro di Tarantino è stato un po’ troppo forzato. Siamo sicuri che tra pochi anni The Hateful Eight verrà celebrato dai fan di Tarantino come il suo capolavoro più assoluto, ma oggi non l’ottava pellicola di Tarantino fa storcere il naso più che altro. Perchè i personaggi, seppur credibili sono troppo freddi, troppo calcolatori per scatenare una reazione empatica, certo è vero che nel mondo di Tarantino la violenza si perpetua con leggerezza, ma i suoi personaggi non si preoccupano della vita umana, anzi il contrario, e francamente, guardando questa pellicola non si è per niente portati a curarsi se gli odiosi otto vivono o muoiono. Per i nerd sono 2 occhialini e mezzo

occhiali nerd 2.5 su 5

Perchè il pilot di Legends of Tomorrow è una cagata pazzesca

By NerdPensiero, Serie TV

Articolo a cura di Mario Bertolino.

Durante questa settimana è andato in onda il primo episodio di Legends of Tomorrow, nuovo spinoff nato all’interno dell’universo televisivo della DC di The Arrow e The Flash trasmessi tutti nell’emittente televisiva americana The CW. Dire che non mi è piaciuto è poco.

QUESTO ARTICOLO È PIENO DI SPOILER, ma comunque vi consigliamo di leggerlo per evitare di impiegare il tempo in qualcosa di poco fruttuoso. Come vedere il pilot di Legends of Tomorrow.

Tutto inizia nel 2166 a Londra, il cattivissimo Vandal Savage ha conquistato il mondo. Il che di suo ci può stare, d’altronde devono raccontarci come faranno i nostri eroi ad evitare l’accaduto.

La prima scena però è degna di un cattivo da serie b: Savage incontra una mamma con il piccolo e con una tristissima battuta uccide entrambi facendo capire di conoscere il padre del ragazzo.

Il padre del ragazzo è un signore del tempo… – un uomo lineare? Ovviamente no! – Ma siccome deve salvare la famiglia, decide di rompere i giuramenti di non interferenza con la storia e ruba una macchina del tempo la “Waverider”!

Punto numero 1: non sei il Dottor Who. Ti vesti come lui, ti atteggi come lui, ma non solo non hai rubato il Tardis, ma hai anche preso l’unica nave che si chiama come un uomo lineare e che somiglia al Millenium Falcon fatto da un bimbo di 3 anni con Gideon: l’intelligenza artificiale che abbiamo conosciuto con Flash. Ma ok, il nostro dottore di serie b mette su una squadra: quindi analizziamo la squadra di questo Legends of Tomorrow.

Lui si chiama Capitan Hunter, li riunisce perché nel suo mondo sono leggende.

Abbiamo l’Uomo e la Donna Falco: perché’ loro? Perché sono uniti a Vandal Savage da 4000 anni e solo se uno di loro lo uccide, lui non tornerà in vita mai più. – Quindi mi state dicendo che Savage ha 4 mila anni anziché 50 mila, che è immortale per via di Hawkman e consorte e che per far finire bene sta’ storia dovranno ammazzare Savage?? –
Ma non finisce qui! La persona più informata della storia sugli spostamenti di Savage è un dottore vecchio nel 1975 che si scopre di essere il figlio degli uccellacci di una vita precedente. “Sai mamma, avevo 10 anni è arrivato Savage e vi ha ammazzati davanti a me” – Ma povero sfigato! A Gotham ste cose creano tutt’altro effetto…  –
Continuando con la squadra abbiamo Atom, scienziato brillante, creatore di un’armatura fighissima, ma con il complesso del sentirsi inutile, quindi accetta al volo dopo aver parlato con Freccia Verde.
Del gruppo freccia verde abbiamo anche la risorta Black Canary che diventa White Canary.
Firestorm! Accetta anche lui citando l’A-Team! Siccome il professore vuole andare, ma il ragazzo no, lo droga, lo addormenta e lo mette sull’aereo. – Democratico –
Capitan Cold convince Heat Wave che viaggiare nel tempo per danaro è un buon affare, tanto poi rubiamo tutto.

Voi direte, beh dai, peggio di così… si può? Si.

Il primo a dare la caccia a questi signori è un tipo che si chiama Cronos, il quale arriva, ammazza due persone semplicemente perché lo hanno visto, ma lui sa che non avranno ripercussioni sulla linea temporale. – CHE COSAAA??? –

Lasciamo stare le implicazioni scientifiche, ma ammazzare due persone nel passato crea sempre problemi, figuriamoci in un universo che durerà miliardi di anni e che cambia ogni 10, ma amen. – Però ci apre un dilemma che la puntata chiarisce: chi sono le nostre leggende? –

Messo alle strette Capitan Hunter risponde: “Ehm… No… è che siccome voi nei prossimi 150 anni non farete niente, non sarete nessuno e anche se vi ammazzano non ci farà caso nessuno… Allora ho pensato che potevate essere quelli adatti a me”.

Signori credetemi, questo pilot di Legends of Tomorrow è inguardabile. – Ultima chicca: il Cronos di sopra? È la brutta copia di Boba Fett. Ma questa è una battuta dello stesso Capitan Cold. –

Per noi Legends of Tomorrow è decisamente bocciato. Viaggi del tempo fatti male, citazioni che rovinano altre serie tv, personaggi ridicolizzati, intelligenze artificiali che non capiscono cosa devono fare neanche quando l’ordine è: “Non farli uscire!”.

Potrei scrivere trattati su quanto questo pilot ma alla fine la soluzione è sempre la stessa: è stato fatto male. Non ci credete? Peggio per voi, io ho scritto solo ciò che mi è piaciuto… Fate vobis.

Creed – Nato per combattere: la nostra recensione

By Film, NerdPensiero

Cari Nerd siamo stati a vedere Creed – Nato per combattere, ultima aggiunta alla saga del mitico Rocky Balboa.

Come tutti, incluso il protagonista della serie, l’attore Sylvester Stallone, eravamo convinti che le avventure dello Stallone Italiano fossero ormai giunte alla fine, ma così non era per Ryan Coogler. Questo giovane regista statunitense di colore però, immaginava cosa si potesse provare ad essere allenato dal mitico Rocky in persona. Ecco perchè un giorno si presentò a casa di Stallone per presentargli Adonis Johnson Creed, figlio di Apollo Creed, celebre antagonista prima e amico ed allenatore di Rocky, dopo.

Il film narra dell’ascesa di Adonis (Michael B. Jordan, già visto nei panni della Torcia Umana ne I fantastici 4, 2015) nel mondo della boxe. Adonis, che non ha mai conosciuto il suo celebre padre, il campione del mondo dei pesi massimi Apollo Creed, morto prima della sua nascita, ha la boxe che scorre nelle sue vene.

Traferitosi a Philadelphia, luogo del leggendario incontro tra Apollo Creed e Rocky Balboa, Adonis rintraccia e convince il vecchio Rocky a diventare il suo allenatore. Con Rocky al suo angolo, non ci vuole molto prima che Adonis abbia una possibilità per vincere il titolo…

La pellicola è sotto molti punti di vista un fanmade, cioè un film fatto dai fan, perchè di questo si tratta, un film, comunque maturo, attento alle dinamiche del cinema moderno, ma che rispetta, anzi rende omaggio, alla storia da cui è tratta. Coogler ci regala un film che ci porta al cospetto dei pugili più famosi che il mondo abbia mai conosciuto, aprendo contemporaneamente la strada alla nascita, o meglio alla continuazione, di un franchise. La cosa che più colpisce di questo lavoro è il rispetto con cui Rocky viene rappresentato. E poi onestamente, chi non proverebbe un pò di emozione nel vedere il buon vecchio Stallone Italiano almeno un’altra volta sul grande schermo!?

Per i Nerd è 4 occhialini su 5.

occhiali nerd 4 su 5