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Modena nerd: la fiera “retrò” che guarda avanti

By Eventi, NerdPensiero No Comments

Ciao tutti amici di Nerd Attack! Eccoci ritrovati ad una nuova recensione. Stavolta parleremo del Modena nerd 2018! È appena terminata la terza edizione e molte sono state le sorprese. Con un traguardo di ventunmila visitatori ha offerto la possibilità di fare diverse esperienze, ed è tra le poche fiere che rispecchiano il nome che portano.

Ma facciamo un passo indietro e cominciamo dall’inizio di questa avventura.

Il Modena Nerd si è svolto il 15 e 16 settembre 2018 al polo fieristico di Modena, e tutti i contenuti offerti al pubblico sono assolutamente a tema, toccando gli interessi più svariati del nerd grande e piccino!

Il padiglione A, il più grande di tutti, si trova alla sinistra del grande corridoio centrale, ed è dedicato alla zona mercato e al fumetto, oltre a contenere una area palco.

Come zona di mercato non era così comune come poteva apparire: la varietà commerciale dei suoi standisti era abbastanza variegata e ben distribuita, oltre le classiche fumetterie con i merchandise classici ormai immancabili in qualunque fiera, e diversi stand gastronomici. Particolare la presenza di alcuni stand  con la possibilità di acquistare console e videogiochi retro game ormai sempre più popolari e sempre più difficili da reperire, bramati dai nostalgici desiderosi di rivivere le avventure del passato. Difatti proprio in questi le persone si accalcavano alla ricerca dell’occasione (me compresa, lo ammetto) sperando nel colpo di fortuna. In un caso era possibile fare scambi o rivendere il proprio usato, cosa poco comune in fiera. C’erano anche diversi stand di fumetterie dedicati interamente alla vendita di serie concluse (sia orientali che occidentali), ricolme di occasioni da non farsi scappare per i veri collezionisti.

E’ stato dato modo di intrattenersi con artisti più e meno noti, tutti sicuramente amati dal proprio pubblico. Nell’area Artist Alley è stato possibile incontrare grandi autori del panorama del fumetto italiano come Mirka Andolfo (ControNatura, Sacro e Profano, ecc), Marco Bucci e Jacopo Camagni (Nomen Omen, Memento Mori), Samuel Spano (Nine Stones), Gigi Cavenago (Dylan Dog) e molti altri ancora, anche di fama internazionale, ma, non me ne vogliano, davvero troppi per citarli tutti in questa sede. Nell’area Autoproduzioni abbiamo amabilmente chiacchierato con Marco “Tarma” Tarquini (Non aprite quel pacco), di cui stimo molto il lavoro ma ve ne parlerò in futuro, presente con altre stelle emergenti come Fraffrog e Cartoni Morti. Insomma, come potete facilmente intuire ce n’è per tutti i gusti.

L’area palco del padiglione A è stata vetrina per intrattenimento di varia natura: concerti, esibizioni di doppiaggio sia tradizionale che cantato con la partecipazione di Alberto Pagnotta, giochi e curiosità di vario tipo. Un esempio è stato il gioco dei “cliché del cinema” commentato e moderato da Violetta Rocks e Adrian Fartade di Link4Universe. Interagire tramite il gioco con il pubblico ha fatto sì che si creasse un ambiente di dibattito rilassato e amichevole, rendendo tutto il contesto molto giocoso. Riuscire a fare tutto questo in un’area con tanto frastuono e un notevole via vai di gente non è facile impresa. In molti si sono fermati ad assistere con interesse e diversi hanno interagito con domande e commenti. Insomma ragazzi, per farla breve, tanti pollici in su per questi talentuosissimi ragazzi che, nonostante la giovane età, ne sanno davvero a pacchi. E il settore dedicato ai Lego? Sì, cari amici nerd: una cospicua fetta del gigantesco padiglione era occupata da tavoli con sopra una miriade di mattoncini Lego nella zona adiacente al palco, con enormi diorami realizzati per l’occasione, a tema Star Wars, attacco al castello, e persino la casa di Dylan Dog, opere davvero mozzafiato, senza contare la possibilità di cimentarsi in loco per grandi e piccini con una grande quantità di mattoncini. Ho provato enorme invidia per la bellezza di queste opere: io al massimo riuscivo a fare il classico muretto triste di mattoncini senza senso alcuno…sigh! Per concludere con questo padiglione, da segnalare la presenza di uno stand di tatuatori “Baker Street Tattoo”, che offriva la possibilità di tatuarsi proprio lì, nel corso della fiera. Devo dire di essere rimasta inizialmente interdetta, ma a ben pensarci, la possibilità di farsi fare un tatuaggio a tema nerd in fiera è una figata pazzesca.

Il padiglione C, che si trova all’estremità del padiglione A a cui è collegato da un corridoio che è stato allestito a “scuola di spada laser”, è stato adibito come area spettacoli.

Dotato di una zona palco con megaschermo dove si sono tenuti i concerti dei Gem Boy e Cristina D’Avena, ma anche argomenti di discussione, curiosità sul mondo nerd e “incontri” con i beniamini del mondo tubico e non solo. Infatti il padiglione, a parte il palco ed una zona transennata per gli incontri con gli Youtuber (come ad esempio Player Inside, ormai ospiti fissi della manifestazione), era tristemente vuoto, ed utilizzato dai visitatori per riposarsi quando non si svolgevano attività “degne di nota”. Personalmente, mi è dispiaciuto un poco non soffermarmici di più in questa come altre aree tipo conferenze o i vari workshop: il programma era vasto, ed ho dovuto operare delle scelte, a malincuore, perchè molti argomenti erano estremamente interessanti, ma non potevo essere ovunque. Tuttavia, basta osservare il programma per rendersi conto della validità degli argomenti proposti al pubblico, super attuali e molto vicini a noi tutti, che mostrano anche con occhio clinico l’applicabilità nel mondo lavorativo.

Il padiglione B, invece, si trova alla destra del grande corridoio d’ingresso, ed è stato completamente dedicato al mondo dei giochi, sia da tavolo che, soprattutto, a tutto il panorama videoludico, dalle console ai cabinati, con ampio spazio per le competizioni videoludiche.

Infatti, oltre alla presenza di un imponente ring per scontri 1 vs 1 su vari titoli come Tekken, Street Fighter ed Hearthstone, era possibile partecipare ad una miriade di tornei a squadre ed in singolo di diversi esports, ma anche provare nuove strumentazioni di realtà virtuale e simulatori di car racing sia in VR che con postazione a veicolo. Ampio spazio è stato dedicato anche al retrogaming, con mini cabinati da tavolo.

Nonostante l’atmosfera potesse sembrare competitiva per l’alto numero di tornei, si poteva respirare un’aria oserei dire familiare, nel senso, c’erano proprio tante famiglie con i propri figli piccoli, e si poteva assistere a scene del tipo la madre che insegna al figlio a giocare a Tetris, o coppie di fidanzati, con lui che insegnava a lei (e in qualche caso viceversa) a giocare a videogiochi moderni e non. Insomma, il Modena Nerd ha portato la prova tangibile che i videogiochi possono portare amore, unione ed intrattenimento positivo nella vita delle persone, al contrario di quanto spesso viene strillato nei titoli dei giornali.

C’era anche un secondo ring, quello che meno ti aspetteresti ad un comicon, e la cui presenza ha suscitato in me non poche preoccupazioni, lo ammetto, perchè temevo fosse troppo lontano dal contesto in cui si trovava, o si rivelasse una baracconata: parlo del ring da wrestling, che occupava la parte centrale del padiglione B. I miei timori sono svaniti assistendo ad una delle esibizioni che si sono svolte su quel ring, richiamando lo spirito nostalgico che mi ha portato alla mente quei giorni in cui seguivo i match della WWE in tv da ragazzina. I wrestler si sono esibiti fomentando positivamente l’attenzione del pubblico, me compresa, con tanti intorno a me che commentavano con nostalgia e cori di incoraggiamento. E’ stato davvero un bel momento.

Immancabile, ovviamente, la gara cosplay, anche qui doppia: una il sabato non competitiva, l’altra la domenica invece competitiva con selezione CNC, gestita sempre dall’ente Epicos, ma stavolta presentata da Andrea Rotolo e Luca Gismondi, che hanno fatto le veci dei cari Luca Panzieri e Chiara Madonia, impegnati al Palermo Comicon, come vi avranno informati i miei capi Nerd Attack. Anche qui abbiamo avuto la presenza di una folta giuria per la gara CNC, 7 membri stavolta, composta da Niccolò Bacci, Alessia Mainardi, Isabella Bianchi, Giovanni Sighinolfi, Evaristo Pala, Silvia Minella, e, sorpresa sorpresa, io! (zan zan!)

Come sempre Epicos ha gestito con zelo e cura la gara, che ha avuto un alto numero di partecipanti alla prima esperienza sul palco, che in considerazione di ciò meritano tante lodi.  Ciononostante, si sono distinti Giada Lenzi come vincitrice assoluta del Modena Nerd 2018, e Denise Capanna al secondo posto.

Permettetemi una piccola parentesi personale del dietro le quinte, senza scendere troppo nel dettaglio. Non è stata la mia prima volta come giurata in una gara cosplay, ma è stata la prima in un contesto così grande. Nonostante l’alto numero di giudici presenti, che parrebbe stia diventando una prassi, è stato bello confrontarsi nel rispetto reciproco con persone altamente competenti ognuno nei propri settori e magari con priorità diverse nei parametri di giudizio, arrivando comunque ad una valutazione finale unanime e condivisa, cosa che pensavo impossibile mettendo così tante teste insieme. Fare il giudice è un compito ingrato a volte perchè si vorrebbero assegnare spesso più premi di quelli a disposizione, vedendo l’impegno e la passione di quanti calcano il palco, ma  trattandosi di una gara, è giusto che vengano compiute scelte e premiati i migliori. Ugualmente, sono felice di aver preso parte a questa esperienza insieme agli altri giurati, che si sono dimostrati carini, simpatici e alla mano. Perciò, cari amici cosplayer, non scoraggiatevi se quel giorno non tocca a voi il premio, sentitevi piuttosto spronati a fare meglio alla prossima gara, siete tutti dei supereroi!

In conclusione, dopo una attenta riflessione, un occhio sempre vigile e attento, ed una partecipazione diretta all’interno dell’evento stesso, posso asserire con sicurezza che il Modena Nerd ha grandi prospettive di sviluppo, poiché, ad una terza edizione con una crescita costante di affluenza, ma anche dei contenuti ben strutturati, ha dato prova di avere alle spalle un team ben organizzato e molto preparato.

Di negativo, ahimè, a parte lo stand di rosticceria siciliana (non me ne volete, ma da siciliana D.O.C., è un NO, NO, ASSOLUTAMENTE NO), c’è solo la collocazione geografica del polo fieristico, parecchio decentrato e non semplice da raggiungere se non si è automuniti, ma purtroppo c’è poco da fare al riguardo e assolutamente non responsabilità degli organizzatori.

Dall’altro lato, se dovessi esprimere un desiderio per il futuro, ribadendo che alla fine il wrestling l’ho apprezzato, beh, la perfezione assoluta sarebbe stata la presenza di una battaglia tra robot: sarei andata in estasi pura.

Il mio voto finale per questo Modena Nerd 2018 è di 4 occhialini nerd.

Dalla vostra Grayfox_001 è tutto e vi ricorda che per rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità e curiosità del mondo nerd il posto è uno solo: Nerd Attack! Alla prossima amici lettori!

Link Modena Nerd:

Facebook- https://www.facebook.com/modenanerd/

Sito ufficiale – https://www.modenanerd.it/

 

 

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Si può giudicare un libro dalla copertina? L’amore al tempo di Tinder

By NerdPensiero No Comments

Sfortunato al gioco, fortunato in amore. Chi non ha mai sentito questa frase?
Usata spesso come rifugio dopo aver perso, solitamente i soldi delle partite a carte natalizie, è comunque radicata l’idea che per qualche strano scherzo karmico l’amore e il gioco abbiano delle proprietà inversamente proporzionali.

Ma che succede se le due cose vengono unite? Già, perché in questo nuovo millennio le “regole del gioco” stanno cambiando, e trovare la propria compagna o compagno, sia per la vita o per alcune ore, sta diventando facile o difficile come far scorrere un dito da destra verso sinistra o viceversa. Ma è davvero così facile? Si riesce davvero a cogliere il famigerato attimo fuggente da un azione così semplice come far scorrere il dito verso destra o sinistra? Per questo motivo ho fatto un esperimento sociale.

Ho creato un account Tinder e ho giocato il gioco. Per chi non lo conoscesse Tinder è un app che permette alle persone single di entrare in contatto e creare nuove relazioni o amicizie. Il concetto di base è molto semplice: si crea l’account, inserisci le tue foto, alcuni dati personali (quasi tutti facoltativi) e sei pronto!

A questo punto inizia la parte centrale di questa app lo “swipe”. Tinder ti presenta l’account di un altro utente, in base alle tue preferenze personali, nel mio caso donne, e in quell’istante l’utilizzatore ha il potere assoluto nel dito, si perché dallo swipe dipende molto, anzi tutto. Se si fa scorrere il dito verso sinistra si esclude la persona dall’altro capo della rete, si dice apertamente “a me questa persona non piace” se invece si fa scorrere il dito verso destra le intenzioni sono chiare “io questa me la farei”. 

Si perché Tinder nella stragrande maggioranza dei casi viene utilizzata per trovare compagne pressoché temporanee. Se anche le donne da me swipate a destra, ricambiano con lo stesso gesto, allora scatta la “compatibilità” e si può iniziare a chattare. Ma è davvero così?

L’esperimento da me condotto aveva poche semplici regole, una settimana sarei stato io, una settimana avrei usato la foto di un’altra persona. Avrei dovuto fare swipe destra con tutti i profili, anche quelli delle donne che a me non piacevano, e avrei parlato con tutte le compatibilità.

Dopo aver creato il mio profilo ho iniziato a fare swipe destra, come da idea iniziale con tutti i profili (100 ogni 12 ore, cioè l’opzione prevista dal piano gratuito di Tinder). Ho ripetuto l’operazione due volte al giorno per 7 giorni, ottenendo solo una compatibilità.

Devo essere onesto nel dire che il responso mi aveva lasciato abbastanza deluso, non credo di essere un adone ma neanche di essere il mostro della laguna nera, comunque l’esperimento sociale sarebbe dovuto continuare.

Il finto profilo doveva ovviamente avere un volto che non era il mio. A tal proposito ho utilizzato l’aspetto di un modello spagnolo Jon Kortajarena, prendendo le foto dal suo profilo Instagram. Onestamente non ero preparato a quello che sarebbe successo. Marco, questo il nome che ho scelto per il profilo, che per inciso è il mio primo nome, ha ottenuto più di 45 compatibilità nell’arco di 21 ore. Una valanga di compatibilità con cui ho parlato, in alcuni casi anche flirtando. Alla 22esima ora ho deciso di sospendere l’esperimento, poiché ho ritenuto abbastanza confermata l’idea iniziale.

Il risultato di questo esperimento sociale dimostra, secondo un punto di vista personale, e in parte oggettivo, come la tecnologia sia in grado di avvicinare le persone, togliendo però l’equazione umana. Quanti di noi hanno ricevuto il consiglio “sii te stesso”? Immagino tutti, ma in un mondo dove basta una foto per giudicare essere se stessi non basta. Perché non tutti siamo modelli, eppure sono quelli i soggetti a cui ci ispiriamo, a cui aspiriamo essere o conquistare.

E come può una persona normale, vivere in un mondo dove basta un dito e nascondersi dietro uno schermo?

Si perché sorprendentemente molte delle donne da me incontrate su Tinder cercavano una relazione, se non “La Relazione”, quella della vita. Cosa a mio parere ridicola. Come si può cercare qualcosa di così profondo ed importante in un luogo così facile e veloce? Sarebbe come andare a cercare da McDonald’s e aspettarsi di trovare la lasagna che faceva la nonna, che ti ricordi quanto sia importante la famiglia.

Non dico che l’occhio non voglia la sua parte: sarei ipocrita a dire il contrario ma ci sono tempi e luoghi in cui farlo. E non parlo solo dal mio punto di vista ma anche per conto di tutti gli uomini e donne che vengono swipati a sinistra.

Quanto deve essere mortificante e deleterio essere rifiutati solo per essere se stessi? Di certo non possiamo cambiare il mondo e come esso funziona, ma non sarebbe bello, quantomeno aiutarlo a migliorare.

Quindi ben vengano i bar, le feste e gli incontri, gli scontri sotto la pioggia come Mirko e Licia, in cui non è solo l’aspetto a fare la differenza, ma sono i modi di fare, la personalità, la simpatia e i valori.

Del resto un vecchio detto non recitava che “non si può giudicare un libro dalla sua copertina”?

Festa dell’Unicorno: molto più di un semplice comicon

By Eventi, NerdPensiero No Comments

Cari amici lettori, è con grande gioia che scrivo questa recensione e l’emozione scorre ancora in me per questa edizione appena passata. Non mentirò signori miei: non è la prima edizione a cui partecipo.

Era l’ormai lontano 2015 quando misi piede per la prima volta a Vinci, cittadina toscana già nota per essere la città natale del mitico Leonardo Da Vinci. No amici nerd, non il “Lionardu” interpretato da Tom Riley, nè quello rappresentato in Assassin Creeed nella saga di Ezio Auditore, ma proprio quel Leonardo. Quel bel simpaticone che già nel 1400 inoltrato ha cominciato a studiare e immaginare i primi sistemi di volo meccanici, così, giusto per citare una delle tante strabilianti invenzioni che hanno intercorso nella sua carriera e per cui si è reso oltremodo famoso in tutto il mondo, ma andiamo avanti.

Nonostante sia già un’habituè della festa, come sempre e solo per voi, il mio occhio è stato vigile e imparziale tutto il tempo. Vinci è un paesino collinare di circa 14.000 abitanti che ha mantenuto un aspetto decisamente medievale che si rende perfetta cornice per questo festival a tema fantasy.

Già ricca di attrazioni culturali, si arricchisce ulteriormente di meraviglie nei giorni della Festa, con un mercato tematico, artigianato di nicchia, e innumerevoli attività. E sì signori miei: se immaginate un capannone o un campo adibito a comicon come spesso accade, potete decisamente allargare i vostri orizzonti, perché tutta la cittadina di Vinci collabora e sostiene questa ormai nota e amata manifestazione e che vanta un programma di 400 spettacoli in 9 spazi tematici.

Descrivere ogni attività sarebbe impossibile per iscritto, e non farebbe comprendere il fascino di viverla in prima persona (cosa che vi invito assolutamente a fare il prossimo anno), ma ve ne citerò alcune per farvi comprendere il tenore dell’evento: se siete dei fan del Signore degli anelli, la casa di Bilbo Baggins è il posto che fa per voi. Ogni anno, infatti, è possibile festeggiare tutti insieme il suo compleanno con danze, giocoleria, spettacoli e molto altro ancora.

Se invece possedete uno spirito romantico, avrete l’opportunità di assistere ad un matrimonio elfico in un’atmosfera ricca di epicità e tradizione ben nota a tutti noi appassionati del genere. Se invece possedete un lato oscuro,la marcia dei mostri potrà suscitare in voi un’emozione da brividi con l’interpretazione e l’imponenza della sfilata notturna che si tiene lungo il perimetro delle mura fin su in cima dove è possibile vedere un panorama mozzafiato della città con tutte le sue luci e meraviglie.

E che dire dei suoi ospiti? La Festa dell’Unicorno può vantare una lista di nominativi non da ridere in questa edizione 2018. Dai doppiatori (Christian Iansate, Davide Pierino, Marco Mete), agli artisti musicali (nomi noti come Cristina D’Avena e i Gem Boys, gli Epica, i Modena City Ramblers, e artisti emergenti come Trovadores de Romagna, Chocobo band, Honey Hime, La famosa squadra g, e Rondeau de Fauvel), fino ad arrivare all’ospite Internazionale Sean Astin che ha sia tenuto un panel (con formule a pagamento) in privato per i suoi fan, che un
pubblico incontro sul palco dove ha risposto a tutte le curiosità postate via instagram.

E’ stato davvero bello e toccante partecipare, anche perché ha dimostrato una grande sensibilità e profondità toccando argomenti di un certo spessore politico (cosa che non ti aspetti ad un comicon) e ha concluso l’incontro chiedendo al pubblico, come ha fatto in precedenza in altri stati in cui si è trovato ospite, di cantare l’inno italiano. Davvero un bel momento.

Forse iniziate a farvi un’idea che il problema principale della Festa dell’Unicorno (oltre al caldo) sia, come visitatori, la mancanza del dono dell’ubiquità. E ne avrete voglia, fidatevi.

Le mie dita sono già stanche nel cercare di raccontarvi tutto, ma andremo avanti, che ancora non è finita. Cosa rende questa Festa diversa da qualunque altra? E intendo, oltre gli spettacoli itineranti, la musica, la sangria, gli ospiti, gli odori, l’atmosfera, Feudalesimo e Libertà, i corni potori da portare al fianco, l’ippocrasso, la porchetta, le installazioni grv, i materiali per i costumi, il lago delle sirene, i giochi dei pirati, i falconieri, l’idromele, i cavalieri in armatura, gli scontri di spade laser, i gundam, le statue, gli unicorni, le escape room, gli altri unicorni…. AAAH scusate, prendo “fiato”. Ma ovviamente, i cosplayer!

La Festa dell’Unicorno è la patria degli Original Cosplay. Tutti possono dare spazio alla propria creatività e mostrare il proprio personaggio senza pregiudizi, e si respira un’aria solidale come difficilmente ho visto altrove, persino durante le due competizioni cosplay, gestite dall’associazione Epicos che anche in questa manifestazione si è distinta per sensibilità ed affidabilità, sempre pronti per le necessità dei partecipanti.

A presentare le gare (sì, al plurale, una il sabato, più rilassata, e l’altra la domenica con la selezione CNC) troviamo Chiara Madonia e l’inossidabile Luca Panzieri, che nonostante la calura e le ascelle commosse, hanno condotto con professionalità e brio senza mai perdere un colpo e tenendo alta l’attenzione del pubblico.

Mi ha enormemente stupito piuttosto trovarmi di fronte alla più numerosa giuria mai vista in vita mia, 8 giurati al sabato e NOVE la domenica: signori, parlo per esperienza diretta avendo gareggiato la domenica, e trovarsi di fronte ad un tavolo così, mette in soggezione. Non so se definirla meglio “commissione d’esami di stato” o “plotone d’esecuzione”!

Ma, nonostante fossero davvero tanti, sono stati sempre gentili e carini nei confronti dei partecipanti. Parte della giuria erano i 3 testimonial ufficiali della Festa dell’Unicorno Tarin Cosplay e Celaena Cosplay (orgoglio siciliano!), e A.Bra Cosplay, che ci hanno tenuto compagnia per tutta la festa dalle loro gigantografie; insieme a loro i 2 ospiti cosplayer internazionali, Jannet Incosplay e Dan Ballestero, e inoltre Ayilin Cosplay, Gaia Giselle, Crystal Emiliani e Enrico Sequi.

Il tenore delle gare è stato alto, specialmente quello della domenica (il commento sentito più spesso è stato “manco fossimo alla finale di Lucca”), ma all’insegna del divertimento e della sana competizione. La Festa si è conclusa con uno spettacolo di fuochi d’artificio a tarda notte per salutare tutti gli ospiti, lasciandomi senza fiato.

Tirando le somme, posso urlare a gran voce a tutti voi lettori, cercate essere presenti alla prossima edizione, perchè fidatevi, non sono riuscita a dire tutto, e dove le parole non arrivano può solo l’esperienza. Il mio voto finale per la Festa dell’Unicorno 2018 è di 5 occhialini nerd con lode.

Dalla vostra Grayfox_001 è tutto e vi ricorda che per rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità e curiosità del mondo nerd il posto è uno solo: Nerd Attack! Alla prossima amici lettori!

Festa dell’unicorno sito ufficiale – https://www.festaunicorno.com/it/
Facebook – https://www.facebook.com/festaunicornofan/
Instagram – https://www.instagram.com/festadellunicorno/

Tutte le foto:

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Romics 2018 tra alti e bassi: la nostra recensione

By Eventi, NerdPensiero No Comments

Il Romics si è presentato con una buona distribuzione degli stand in aree tematiche in base al padiglione in cui erano collocati, ed una gradevole cordialità da parte degli standisti in generale. Il percorso tra un padiglione e l’altro era dedicato alle aree ristoro, con ampia libertà di scelta visti i moltissimi stand gastronomici, mentre altri erano presenti all’interno dei padiglioni stessi. Una caratteristica particolare è la “passerella”, ovvero un percorso sopraelevato che unisce tutti i padiglioni tra loro, che, nel corso dell’evento, è diventato punto di ritrovo e di sfilata di cosplayers.

Il padiglione delle esposizioni contava una mostra di tavole di Tsukasa Hojo e Massimo Rotundo, che sono stati ospiti di punta della convention insieme all’attore Martin Freeman. Purtroppo non ho avuto modo di vedere nessuno dei tre.
Numerose le proiezioni, sia di trailer che di episodi interi di anime (ad esempio quelli di Hojo, o di vari titoli importati dalla Dynit – Hurricane Polymar, Fate/Stay night, ecc ecc).
Notevole la presenza di stand di nuove e vecchie realtà editoriali, sia nell’ambito dei libri che dei fumetti.
Poca varietà invece dal punto di vista dei negozi presenti che vendevano articoli spesso ridondanti e di facile reperibilità. Purtroppo o per fortuna, ormai è la prassi.

Non c’era una “Artist Alley” e cercare i vari autori e fumettisti tra gli stand, sebbene quasi obbligasse a fruire dell’intera fiera, è stato abbastanza faticoso e difficile.
Passando alle note dolenti, invece, abbiamo notato come la passerella di cui sopra sia stata sede di diversi gruppi di fruitori della fiera, diciamo, di stampo “poco nerd”, con gruppetti di ragazzini che si aggiravano a petto nudo con la scritta “free tutto” addosso, rapper che intonavano le proprie canzoni contro le ragazze che incontravano, eccetera eccetera. Abbiamo saputo anche di una rissa, o comunque un incidente, tra “fotografi” poco garbati. Insomma, ‘a fiera de’ coatti dal punto di vista del pubblico.

Riguardo l’organizzazione, abbiamo saputo di problemi con l’incontro con Martin Freeman ma, non avendone preso parte, non me la sento di approfondire la cosa.
Invece, vorrei parlare dei problemi “tecnici” che sono sorti in regia nel corso della più lunga gara cosplay a cui abbia assistito in vita mia.

Intanto, ogni esibizione cosplay era intervallata dalla sfilata ed esibizione di un’altra competizione, quella per body painters, ed entrambe le competizioni avevano un discreto numero di partecipanti.
La regia ha più volte confuso, smarrito, mandato male le tracce audio dei partecipanti, a volte costringendoli a tornare sul palco dopo per ricominciare, e anche in quei casi, non dando quasi il tempo di arrivare in posizione.
Questi problemi sono sorti inizialmente: il pubblico, infatti, non ha protestato più di tanto dato che è “il bello della diretta”, ma il ripetersi sistematico dei problemi ci ha lasciato di stucco.
Purtroppo, la gara cosplay si è chiusa con contestazioni sotto palco da parte dei parenti di alcuni partecipanti, non siamo riusciti a vedere come sia andata a finire, poiché la cosa si è protratta per le lunghe, ma indubbiamente è stato qualcosa che ha lasciato un segno e non in positivo.

Facendo un riepilogo generale sulla manifestazione, il mio voto finale è 2 occhialini nerd e mezzo.

 

Quando i palloncini galleggiano: la recensione di IT dei Nerd Attack

By Film, NerdPensiero No Comments

L’adattamento cinematografico di Andrés Muschietti del romanzo di Stephen King, It, è sorprendentemente vicino all’adattamento di Rob Reiner del 1986 di un altro romanzo di Stephen King: Stand By Me. In entrambi i film, un gruppo di ragazzi preadolescenti corre intorno alla periferia di una piccola città, legandosi durante le lunghe giornate estive e notturne. In entrambi i film, uno di quei bambini ha un terribile padre abusivo; un altro ha perso di recente un fratello, e i genitori scioccati dalla perdita hanno per lo più perso il rapporto con i figli e soprattutto con la realtà. I protagonisti bambini sia in Stand By Me che in It sono emarginati, in gran parte ignorati e costretti a trovare conforto l’uno nell’altra. Sono tutti cacciati da un gruppetto di feroci e pericolosi bulli – bambini più grandi che sono annoiati con la loro città sonnolenta e vittima di altre persone (esempio padri violenti). Entrambi i gruppi di ragazzi partono per cercare un cadavere e, lungo la strada, diventano l’appoggio emotivo l’uno dell’altro, con tutta l’intensità e la semplicità idealizzate che Stephen King mette sempre nei suoi racconti legati all’infanzia. In entrambi i film sono racconti sugli ultimi giorni di innocenza prima che la realizzazione e le responsabilità dello “essere adulti” li travolga. Ma solo in uno di questi film vede i ragazzi affrontano un clown killer muta-forma.

Il film fa alcune comprensibili cambiamenti alla storia originale, in primo luogo, divide la storia in maniera netta tra la parte giovanile e adulta, relegando al capito uno, cioè questa pellicola, esclusivamente al racconto dei ragazzi e al loro primo incontro con IT, preannunciando dunque il capitolo due, in cui i ragazzi ormai adulti dovranno affrontare per la seconda volta il malefico Clown.
Altra modifica è il periodo, anziché ambientare la storia alla fine degli anni sessanta, la storia si svolge negli anni 80, scelta che indica la volontà di far occhiolino a due specifiche categorie di spettatori: i “giovani d’oggi” e gli adulti che sono cresciuti guardando la versione televisiva di IT degli anni 90, scelta che tutto sommato non dispiace.

Alcune delle libertà registiche che il film si prende sono la totale assenza dei rituali indiani magici, con cui i ragazzi scoprono chi è realmente IT e da dove proviene, e, anche questa comprensibilissima, l’assenza scena sessuale tra i ragazzini stessi. Per il resto IT è un film che rispecchia in maniera più che accettabile il racconto di King. Ma inevitabilmente, ridurre la storia dei ragazzi in un film di 135 minuti comporta un taglio di un sacco di tempo di carattere individuale, fino al punto in cui molti dei Losers si fondono insieme. Alcune brutte e confuse modifiche suggeriscono una versione più lunga della storia in cui i protagonisti più trascurati hanno più tempo sullo schermo, ma così com’è, l’intera caratterizzazione di Stan è “un ragazzo ebreo con bar mitzvah che si avvicina”, e Mike è “un ragazzo nero che vive in un azienda agricola.”

La prima morte del film si verifica nella sequenza di apertura, come un clown terribile che si chiama Pennywise (Bill Skarsgård) attrae un ragazzino chiamato Georgie Denbrough in una trappola mortale. Mesi dopo, il fratello di Georgie Bill (Jaeden Lieberher, da St. Vincent e Midnight Special) è ossessionato nel trovare il corpo di Georgie e porta i suoi amici Ritchie (Finn Wolfhard, già visto in Stranger Things), Eddie (Jack Dylan Grazer) e Stan (Wyatt Oleff) nei guai mentre cercano le fogne per qualche segno del ragazzo. Mentre altri bambini vanno persi. Quando il gruppo, autoproclamatosi come “The Losers’ Club” (il club dei perdenti), si unisce al nuovo ragazzino e storico amatoriale Ben (Jeremy Ray Taylor), il quale li informa che il tasso di omicidio di Derry, la cittadina in cui si svolge la storia, è sei volte la media nazionale e i ragazzi scompaiono a un tasso ancora maggiore.

Uno ad uno, il gruppo – che comprende anche una ragazza, Beverly (Sophia Lillis) e il ragazzo di colore Mike (Chosen Jacobs) – incontra Pennywise, il Clown in diverse forme mostruose su misura per i loro timori personali. Presto, capiscono che gli adulti di Derry non faranno nulla a riguardo, e spetta a loro combatterlo.

Il ruolo di Pennywise, il Clown Ballerino, un insaziabile e maligno predatore inter-dimensionale i cui atteggiamenti e soprattutto la cui risata è inquietante come lo era quando lo interpretò Tim Curry nel 1994, è affidato a Bill Skarsgård, figlio di Stellan, che con il suo forte accento svedese aggiunge un che di grottesco ad un abile performance. Certo, è vero che Skarsgård è aiutato da un make-up più estremo e macabro, mentre Curry con solo un blando sorriso sui denti gialli e affilati come rasoi riusciva a far gelare il sangue nelle vene, ma non si può avere tutto.

Il cast di giovani attori è convincente e ottimamente diretto. Jeremy Ray Taylor e Sophia Lillis meritano una particolare menzione, come il ragazzo intelligente e grasso con una cotta adolescenziale, che è sorprendentemente tenera da essere credibile, e come la ragazza dura con un segreto spiacevole e oscuro. Ma tutti i sette dei bambini sono ben rappresentati e danno buone prestazioni, e vedono attraverso i loro occhi, Pennywise come una vera minaccia – un incubo infantile improbabilmente manifestato nel mondo reale.
Per i Nerd è 4 occhiali su 5.

 

World of Warcraft WoW

Immergersi nell’universo di World of Warcraft, oggi

By NerdPensiero, Videogiochi No Comments

Lo ammetto, non avevo mai toccato prima World of Warcraft. Non lo avevo mai considerato, non avevo mai visto nemmeno un secondo di gameplay, le mie uniche conoscenze sull’enorme universo di Blizzard derivavano soltanto dai meme su Leeroy Jenkins e dalla puntata di South Park Fate l’amore non Warcraft. Mesi fa, giorno più giorno meno, parlando con un mio amico molto più che ben inserito all’interno dell’MMO, è uscita dalla mia bocca la seguente frase:

Dai, dopo che finisco Persona 5 inizio WoW, tanto per vederlo un po’, lo prometto.

Mentre producevo i suoni che componevano tale frase, qualche campanello d’allarme scattò nella mia testa ma relegai il tutto ad un angolo oscuro della mia mente, quello del “poi si vede, tanto c’è tempo”. È un posto sicuro, nel breve termine. Ed effettivamente il tempo passò, i pensieri si accavallarono e terminai felicemente Persona 5 consacrandolo come mio personale Game Of The Year, in attesa di Mario Odyssey. Reincontrai nuovamente Christian (è colpa\merito tuo, lo sai) ed ovviamente, come un faro puntato a piena potenza verso l’angolino buio di sicurezza della mia mente, disse:

E quindi ora inizi World of Warcraft, giusto?

Bhe, una promessa, anche se rivolta più a me stesso che all’esterno, è una promessa. La mia iniziale diffidenza era dovuta ad una serie diversa di fattori, primo tra tutti il poco tempo a disposizione da dedicare al gioco. Lavorando mattina e pomeriggio, il tempo libero si riduce giusto ad un paio d’ore la sera o in pausa pranzo ma ho deciso di passarci sopra. In quel periodo non era prevista la pubblicazione di alcun titolo che avesse potuto suscitare particolarmente il mio interesse quindi, teoricamente, non avrei “rubato” tempo ad altri giochi. E, diciamocela tutta, mi son convinto anche per un fattore di conoscenza personale. Se ci pensavo un attimo, mi risultava inconcepibile non conoscere un enorme universo videoludico nato ben dodici anni prima, era una lacuna che andava colmata in qualche modo, e l’unico modo era comprarlo, riscattare il primo mese di gioco ed iniziare.

World of Warcraft WoW

Un’altra cosa per cui sono uscito pazzo di World of Warcraft è il serpente volante che vedete sullo sfondo. Bellissimo!

Il primissimo impatto, inevitabilmente, fu alquanto destabilizzante. Tanto HUD, gente con cui parlare, quest, tutto mi si riversava addosso troppo velocemente ma ben presto mi resi conto che era colpa mia. Stavo correndo troppo ed il gioco tentava di fermarmi ed accompagnarmi per mano, tranquillamente. Creato con calma il mio PG, uno Sciamano Pandaren di nome Frizzante (perché Termosaldatore non ci entrava), mi immersi lentamente nel mondo di gioco e subito ne rimasi affascinato, complici anche due abbinamenti da me molto amati ed azzeccati come prima scelta: animaletti antropomorfi ed ambientazioni stile antica Cina (Kung Fu Panda, l’introduzione del Pandaren è quello, circa). Prime quest, prime abilità, scelta della fazione, Stormwind e così via, pian piano il mondo di dischiudeva rivelandomi nuove meccaniche ed elementi che mi affascinavano sempre di più, il tutto ben guidato e gestito anche se, chiaramente, un minimo di spaesamento permaneva sempre ed in questo è venuta in aiuto la gilda. Dopo poco, infatti, son stato inserito nella gilda del mio amico di cui vi parlavo sopra, ed immediatamente il tutto si rivelò, ovviamente, più semplice. Consigli su cosa comprare per poter avanzare più semplicemente presso diverse fazioni, su come agire in determinate zone, su quali professioni scegliere per poter fare un po’ di soldi che mi avrebbero aiutato nelle prime fasi di gioco o su come ritrovare la retta via dopo essersi teletrasportati da tutt’altra parte (fatto accaduto ieri sera, con tanto di leggero momento di panico).

Ed è stata anche uno dei motivi per cui ho continuato effettivamente a giocare. Personalmente, credo che affrontare una cosa estremamente vasta come World of Warcraft in totale solitudine porti presto, molto presto, alla noia. Io, seppur non giocando fisicamente con altri membri in quanto ancora in fase di livellamento verso l’ultima espansione di gioco, li ritrovo sempre in chat di gioco. Posso chiedere consigli, aiuto o semplicemente scherzare e passare il tempo. Un altro elemento da cui voglio mettere in guardia una possibile new entry come me è proprio tutta la fase iniziale di leveling. Se avete intenzione di buttarvi dentro WoW perché volete vedere tutta la storia per intero, con le varie espansioni giocate per bene e con attenzione, scartate velocemente l’idea o, almeno, ridimensionatela in toto. Blizzard ha fatto in modo di velocizzare molto questa fase e, ben presto, guadagnando livelli, le quest intraprese diventeranno praticamente inutili, “constringendovi” a proseguire verso l’espansione successiva, perdendo quindi anche quest e raid finali, anelli di congiunzione tra le varie espansioni. E qui torno a parlarvi della gilda: tali raid iniziali, oramai, son fattibili anche da una sola persona al livello massimo. Se avete qualcuno disposto a farli insieme (o per) voi, potete apprezzare molto meglio il dipanarsi del filo conduttore dell’universo.

Mi sono ricreduto, invece, sul tempo da dedicare al titolo. Due orette o poco più la sera e tutto scorre via senza alcun problema. Il tutto per dire semplicemente, ai neofiti che ancora non hanno dato una possibilità al titolo per le ragioni più disparate, di mettere da parte i loro dubbi e tentare. Si ritroveranno catapultati in un mondo ben realizzato e coinvolgente, con personaggi ben caratterizzati, una storia interessante e meccaniche che, semplicemente, hanno fatto scuola. E non badate ai vostri amici che “ma hai iniziato a giocare a World of Warcraft? Allora non ti rivedremo mai più, drogato!!!”, è solo gente scema.

E voi avete qualche esperienza di MMO online? Fatemi sapere cosa giocate, come avete iniziato e se state continuando!

The Defenders: tra azione ed ovvietà

By NerdPensiero, Serie TV No Comments

Questo articolo è frutto di una bastardata. Ho “costretto” il nostro caro amico Vincenzo Caltagirone a commentare The Defenders su Whatsapp. Solo che lui era inconsapevole che poi tutto sarebbe stato pubblicato. È venuta fuori una psedo-recensione che deve essere uno spunto per un pensiero generale sul mondo Marvel in Netflix.

Questo articolo potrebbe contenere spoiler, niente di che sulla trama che non si capisca dopo le prime 2/3 puntate.

FT: Ma a te The Defenders è piaciuto? Io trovo che sia interessate da alcuni punti di vista, prevedibile da altri.

VC:  Io non avevo grosse aspettative. L’ho trovato gradevole ma nulla di che.

FT: Entriamo nel dettaglio? Ho apprezzato la scelta iniziale della fotografia, con la color correction identificativa per ogni eroe (con Alexandra non “colorata” ma bianca).
Di contro la caratterizzazione di Iron Fist sta peggiorando. Nei fumetti è strafigo, in questa serie è un pirla (e non fa altro che dire a tutti di essere l’Iron Fist). Il rischio è che hanno toppato il personaggio.

VC:  Ma pure Stick lo dice… “Il grande immortale Iron Fist” che a sto giro è un emerito coglione quando gli trova il telefono addosso. L’ho trovato banale. Anche Daredevil: un’ora a fare i capricci per non farsi vedere in volto e poi si leva la maschera a cazzo di cane.

FT: Molto critico eh? Forse perché siamo stati abituati agli alti standard della prima stagione di Daredevil. Forse al momento inarrivabile

VC: Si infatti. Due stagioni da urlo.

FT:  Degli altri invece? Che mi dici? Personalmente mi piace tantissimo Jessica Jones. Ho apprezzato molto la sua serie, estremamente psicologica, e con un David Tennant sopra le righe (menzione d’onore anche per Vincent D’Onofrio nella prima stagione di Daredevil, praticamente perfetto). Luke Cage mi ha interdetto. Anche lui fumettisticamente è un gran bel personaggio ma, sembra, che in questa serie sia quasi limitato. Salvo le ambientazione hip hop e le colonne sonore. La storia è interessante ma sembra sempre manchi qualcosa. E in The Defenders si nota di più.

VC: A me personalmente non piace Luke Cage: lo trovo noioso. Iron Fist è troppo rincoglionito. Daredevil non è cazzuto come nelle serie sue. Jessica Jones, invece, rispecchia abbastanza.
I cattivi sono davvero scemi. Le 5 dita della mano: nessun mistero, se le sono giocate presto, male e fin da subito sono state prese a schiaffi. Banali. Pochissima coerenza nei combattimenti: una volta Elektra prende a schiaffi tutti da sola, Cage compreso, mentre nella scena dopo vola a terra con una sberla. Ripeto, la serie l’ho gradita perché avevo aspettative bassissime e perché comunque mi piacciono i personaggi.

FT: Chiaro. Per me come voto sono 3 occhialini nerd su 5.

VC: Io gliene darei due e mezzo.

FT: Sai che questa conversazione diventerà un articolo di Nerd Attack, vero? 😂

Sorry Enzo.

Take my hand: il trapanese Francesco Siro Brigiano incanta Hollywood

By Film, NerdPensiero No Comments

A Trapani non tutto è perduto, alcune volte anche l’arte può raggiungere l’altro lato dell’oceano, andare negli States e colpire coloro che lavorano costantemente in questo mondo. Francesco Siro Brigiano, 36enne filmaker trapanese, è riuscito con il suo cortoispirazionale dal titolo Take my hand ad impressionare le giurie del Los Angeles Film Awards e del Festigious, con una regia profonda ed una emozionalità straordinaria.

Con la sceneggiatura firmata dallo stesso Siro Brigiano, Take my hand s’è aggiudicato, infatti, la vittoria del Los Angeles Film Awards, nella categoria “Best Inspirational”, e del festival internazionale Festigious, anch’esso di Los Angeles, nella sezione “Inspirational”. Si tratta di un racconto astratto ed autobiografico ispirato, con la ricerca di un linguaggio visionario personale e poetico. Un viaggio emozionale che cerca, nell’intimo, la speranza di una crescita oltre la durezza.

«C’è stato un periodo nella mia vita in cui ho vissuto l’amore con tutto me stesso – commenta Siro Brigiano -. Vivere cambiamenti radicali e repentini, essere sopraffatto dalle emozioni, dalla bellezza e anche dalla cattiva sorte… Realizzare questo corto mi ha dato la possibilità tanto cercata, di una libertà creativa totale».

Francesco Siro Brigiano

Il Los Angeles Film Awards e il Festigious sono concorsi mensili per i filmakers in tutto il mondo. La loro missione è promuovere i film, e far realizzare un altro passo avanti alle carriere dei giovani che si lanciano in questo percorso. Le manifestazioni sono organizzate dall’autorevole sito americano IMDb, di proprietà di Amazon.com che gestisce informazioni su film, attori, registi, personale di produzione e programmi televisivi.

«L’idea è arrivata quasi tutta di colpo nella mia mente – spiega il trapanese Francesco Siro Brigiano – ed immergermi in essa e nella sua atmosfera, mi donava la sensazione di abitare una poesia o qualcosa di simile, bellissimo. Vedevo spazi grandi, dove far emergere la solitudine e la riflessione come un eco. La voglia di allargare la propria visione del mondo. Poter raccontare emozioni senza dover definire bene i contorni di una storia, per essere completata, lo speriamo, dallo stesso spettatore».

Daniele Parente, in un frame del corto Take my Hand

Una visione onirica, sognante, che lancia Siro Brigiano nel mondo della settima arte, sulla scia di grandi artisti. Uno stile ricercato, ispirato dai lavori di Federico Fellini, di David Lynch e di Terrence Malick.

Take my hand è interpretato da Daniele Parente, Sara Bonsorte, Ester Siro Brigiano e Benito Mussolin. Questi successi fanno seguito a quello di “Electroma”, un altro corto realizzato da Francesco Siro Brigiano che, recentemente, è risultato il migliore al Trailer Fest Film Festival (sezione “Sci-fi”), concorso americano dell’Università del cinema dell’Indiana. Sempre con Electroma, il filmaker trapanese ha trionfato al Cinema Worldfest Awards 2016 (Ottawa, Canada) e al Gold Best Trailer International Independent Film Awards (Encino, California).

SCHEDA TECNICA

FRANCESCO SIRO BRIGIANO, 36 anni, è un videomaker trapanese, freelance, che realizza video dall’impronta giornalistica e cinematografica, alla ricerca di dettagli, sfumature e stile personale, creando immagini dalla forte carica emotiva. Ha diretto numerosi cortometraggi, video arte, reportage e spot pubblicitari per numerose aziende.

PIANO 9 PRODUZIONI nasce nel 2011 dalla passione di un gruppo di amici per il cinema, la scrittura, l’arte visiva. Una realtà professionale che si aggira fra molteplici declinazioni creative, che si occupa di immagine e comunicazione a 360°. Un team creativo e affidabile, che spazia da un aspetto all’altro della produzione.

Regia: Francesco Siro Brigiano

Sceneggiatura: Francesco Siro Brigiano

Fotografia: Francesco Siro Brigiano, Vito Sugameli

Montaggio: Francesco Siro Brigiano

Musica non originale: Kiyoshi Yoshida

Effetti visivi: Francesco Ciulla, Francesco Siro Brigiano

Riprese aggiuntive: Joey Shanks, Stefan Georgi, Ran Allen, Fstoppers.com

Cast: Daniele Parente, Sara Bonsorte, Ester Siro Brigiano, Benito Mussolin

Produttori esecutivi: Francesco Siro Brigiano, Piano9 Produzioni

Ringraziamenti: Loredana Augugliaro, Gioacchino Piazza, Salvo Altese, Giuseppe Renda, Luglio Musicale Trapanese, Telesud

Homecoming: tu sei l’Uomo Ragno

By Film, NerdPensiero No Comments

Spiderman, tu sei l’uomo ragno!
Spiderman, che forte sei tu!
Spiderman, la tua ragnatela,
Spiderman, ti porta lassù!

Più in alto, più in alto,
tu vai, tu vai, tu vai,
nessuno ti sfugge,
non c’è bandito che si salvi da te!

Iniziava così la sigla del cartone animato anni ’60 dell’Uomo Ragno. E fin dall’anno della sua creazione, Spider-Man è stato uno tra i supereroi più amati di tutti i tempi. Purtroppo però, la versione cinematografica di questo beniamino delle masse non ha mai avuto al 100% una pellicola che accontentasse tutti. Perché sebbene nel 2000 quando per la prima volta, Sam Raimi, fece un lungometraggio dedicato al sempre amichevole arrampicamuri di quartiere, c’era qualcosa che comunque mancava, il personaggio Peter Parker, alter ego del supereroe, interpretato da Tobey Maguire, era quello giusto però Spider-Man era troppo “silenzioso”.

Quando pochi anni dopo la Sony ripropose il personaggio con Amazing Spider-Man, con Andrew Garfield come protagonista, il personaggio di Spider-Man era azzeccato, era spiritoso, irriverente e soprattutto eroico, ma purtroppo il personaggio di Peter Parker non era credibile. Quindi i fan ormai si erano rassegnati avere due franchise che rispecchiavano solo parzialmente quello che era il personaggio che tutti volevano vedere.

E poi avvenne il miracolo, la Sony e la Marvel Studios fecero l’accordo commerciale che permise alla Marvel Studios di fare un film sull’Uomo Ragno: Spider-Man Homecoming. E che piccola gemma è stata! Homecoming è sotto molti punti di vista quello che tutti noi fan aspettavamo da un film sull’Uomo Ragno, per la prima volta è stato scelto un vero teenager per fare la parte del teenager più famoso dei fumetti, il bravissimo attore inglese Tom Holland, che riuscito a caratterizzare il personaggio di Peter Parker eccellentemente, sia con che senza la maschera, regalandoci un ragazzino con i super poteri che non sa come utilizzare e che sta cercando di trovare il proprio posto in un mondo più grande di se stesso. E contemporaneamente interpretando magistralmente il ruolo del super eroe mascherato che semplicemente non riesce a chiudere la bocca.

Per non parlare poi del cattivo di questo film, l’Avvoltoio, interpretato dal meraviglioso Michael Keaton, che non è nuovo al genere supereroistico poiché alla fine degli anni 80 interpretò il primo Batman per la regia di Tim Burton. C’è da sottolineare che è quanto mai simbolico che nel primo film della Marvel Studios sull’Uomo Ragno, sia stato scelto l’Avvoltoio come primo nemico, poiché proprio Adrian Toomes è il primo super cattivo che Peter Parker incontrò nella sua carriera da vigilante nelle pagine di Amazing Fantasy, rivista che proponeva agli esordi le prime avventure di Spider-Man.

Il problema dei precedenti film su Spider-Man erano le minacce che doveva affrontare il protagonista, di livello troppo alto, quasi globali, mentre l’eroe creato da Stan Lee è realmente un eroe di quartiere. Il punto di forza del personaggio Spider-Man è sempre stato la sua capacità di essere in contatto con i suoi “vicini di casa” e di affrontare minacce tutto sommato non enormi ma comunque pericolose, tendenza che ormai nei film dei supereroi moderni tende a sparire.

Ogni volta che Capitan America o Iron Man e gli Avengers affrontano un nemico, questo minaccia l’intero mondo, ma Spider-Man no. Ed è questa la forza di Homecoming, la capacità che ha avuto di riportare all’origine quelle che erano le premesse di un personaggio in cui tutti potessero immedesimarsi, cosa che la Marvel Studios da questo punto di vista ha fatto egregiamente.

Una nota va spesa anche in favore di Marisa Tomei, che nel film è la famosa zia May, tutrice legale di Peter dopo la morte dei suoi genitori. Dopo anni passati a vedere la zia di Peter come una vecchina indifesa, in Homecoming vediamo una donna di mezz’età, ancora molto bella, piena di vita e, diciamocelo pure, sexy, che affronta il mondo moderno con freschezza e gioiosità.

L’elemento principale che rende questo film meraviglioso è proprio l’adattamento con i tempi. Peter Parker non è un ragazzino di un liceo negli anni ’60 ma un liceale degli anni 2000, con tutto quello che ne consegue. Anche il personaggio di Tony Stark, già conosciuto negli altri film della Marvel Studios, è una figura importante del film ma contrariamente a quello che molti credevano non è “prepotente” ai fini la storia. Come tutti i film anche questa pellicola ha qualche elemento stonato, ma sono tutti i dettagli che sono facilmente perdonabili se visti della visione d’insieme.
Per i nerd è 5 su 5.

Miyazaki: la distopia con antidoto che può ancora salvare il mondo

By Anime&Manga, NerdPensiero No Comments

Ammettiamolo: vivere in un contesto sociale vessato dalle piaghe del qualunquismo e della negligenza umana propagata con regolarità in tutti i settori, dalla politica all’ambientalismo, ha reso ognuno di noi complice sottobanco di questa distopia prostrante.

Non siamo ancora ai nefasti livelli di 1984, sia chiaro, ma l’occhio orwelliano ha già iniziato a spiarci, famelico e saccente, pronto a vincere la sua scommessa su un’umanità smaniosa di infradiciarsi con le sue stesse mani.
Del resto smentirlo è pressoché impossibile, basta concedersi una rapida panoramica della fatale attualità che ci circonda per realizzare che stiamo invocando il Big Brother all’unisono, tra presidenti convinti che l’inquinamento sia una frottola made in China, preti accusati di pedofilia all’alba di quasi tutti “i giorni dopo”, guerre in nome del dio profitto beneficiarie di finanziamenti anche in condizioni di estrema povertà (interessante controsenso, vero?) e attentati o presunti tali fomentati dall’odio e da quell’ottimo cane da guardia al servizio dei potenti chiamato insoddisfazione. Insomma, di pretesti sine qua non per l’insediamento del fratellone socialista ce ne sono a iosa: Corea del Nord docet.

Eppure, probabilmente a causa di un’eredità umanistica che si sta estinguendo nelle nuove generazioni, quasi del tutto prive di empatia e di creatività (mi riferisco alla creatività genuina, quella guidata dal sacro fuoco dell’arte e dall’amore per la conoscenza), le grandi menti illuminate ci offrono un ultimo barlume di speranza.

Uno di questi intelletti risolutivi appartiene al regista e fumettista giapponese Hayao Miyazaki, autore di capolavori d’animazione che spaziano dal naturalismo al romanticismo, dal realismo all’onirismo e che possono essere definiti, a ragion veduta, senza precedenti. Tuttavia, più che sulla questione stilistica, peculiare ma abbondantemente analizzata, è opportuno soffermarsi sulle scelte tematiche e sulla decodificazione del messaggio, profondo e vitale, che Miyazaki intende trasmettere allo spettatore.
Un messaggio di pace e speranza che emerge dai contesti umani più catastrofici, strutturato per giungere persino al peggior sordo, quello che notoriamente non vuol sentire.

Nessun fruitore attento, infatti, rimarrà immune all’intelligenza emotiva di cui sono dotati i protagonisti delle storie ghibliane, vittime di una disumanità abietta che ha stravolto i loro equilibri naturali, né si sottrarrà all’ancestrale riflessione sul bene e sul male.
Già, perché se si vuole evitare che il secondo abbia la meglio sul primo è necessario estirparlo dalle radici, non tollerarlo secondo scelte di comodo che garantiscono una tranquillità momentanea ma logorante.
Miyazaki ci costringe a guardare in faccia i cattivi e a fare i conti con una verità che non ci piace per niente: i cattivi siamo noi.
Un colpo basso che orchestra in modo magistrale nel film La città incantata (2001) mostrando che al mondo non c’è più posto per l’ingordigia umana, metaforicamente associata a un banchetto grottesco, e che la natura ha sempre la forza di prendere il sopravvento.

Proprio nella natura, infatti, si trova la chiave di salvezza o, meglio, l’antidoto alle realtà distopiche in cui sono costretti a vivere i protagonisti.
Pertanto da Nausicaä della Valle del vento (1984) a Principessa Mononoke (1997) e Il castello errante di Howl (2005) il filo conduttore è lo stesso: la provvidenziale empatia con la natura.
Se non si è in sintonia con l’ambiente si finisce per essere schiacciati dallo stesso e le leggi della natura non ammettono mediazioni.
Ecco perché la temeraria figlia del bosco Mononoke detesta gli esseri umani, pur appartenendo alla loro specie, ed è disposta a sacrificare la sua vita pur di arrestare le usurpazioni dei suoi simili.
Lo stesso discorso vale per Howl, eremita stremato dalla guerra, costretto a trasformarsi in uccello per fronteggiare le numerose battaglie, che troverà la redenzione nell’amore e, una volta restaurata la pace, potrà tornare definitivamente umano.

Nausicaä è forse l’eroina più emblematica di questo conflitto incessante tra bene e male, tra natura e uomo, tra inquinamento ed ecologia: in un pianeta distrutto dalla guerra termonucleare, la principessa della Valle del Vento e i pochi superstiti devono contrastare l’espansione della Giungla tossica che rischia di inglobare gli ultimi ambienti non contaminati.
Tra la violenza e la paura, il coraggio di Nausicaä e il suo amore smisurato nei confronti di ogni essere vivente avranno la meglio, restaurando epicamente gli antichi equilibri e riconquistando la tanto agognata sintonia con la natura.

Dunque la salvezza è ancora possibile, purché l’audacia e il confronto vincano sullo scetticismo e sulla pigrizia morale. Miyazaki ci ammonisce e ci incoraggia allo stesso tempo, obbligandoci a fronteggiare i “mostri sociali” per lasciare spazio al potenziale umano latente, oggi quanto mai necessario. Concludendo, l’ingegno potrà sempre scongiurare l’insediamento di una società distopica purché questo mantenga una connotazione profondamente umana e naturale.