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Osmosis. Un algoritmo può effettivamente trovare l’anima gemella?

By NerdPensiero, Serie TV, Tecnologia No Comments

Osmosis è una serie televisiva francese del 2019 creata da Audrey Fouché e diretta da Thomas Vincent. Composta da 8 episodi, distribuita su Netflix il 29 marzo 2019, e ambientata a Parigi, narra di un futuro prossimo non troppo lontano in cui una rivoluzionaria startup promette di trovare l’anima gemella senza margine d’errore. Esther e Paul, sorella e fratello, sono i fondatori di Osmosis. Ciò che offre ai propri utilizzatori è l’amore sicuro attraverso una rivoluzionaria tecnologia di nano-macchine e innesto sottocutaneo. La certezza di poter trovare in breve tempo la propria anima gemella tra milioni di possibili alternative. A contrapporsi troviamo Perfect Match, sito di incontri che utilizza la realtà virtuale con visore che si propone con lo slogan “tutti meritiamo l’amore” ma che in realtà è usato dall’utenza per rapporti occasionali e vede in Osmosis una minaccia per i propri affari. Sfruttando il pensiero etico e morale della società conservatrice riguardo le ingerenze della tecnologia nella sfera privata tenta di far crollare questo impero nascente. Lo spirito critico e di riflessione che la serie ci offre è vasto, forse anche troppo considerando che abbiamo solo 8 puntate per elaborare il tutto, ma cercherò di portare alla vostra attenzione i punti più salienti.

Rispetto della privacy

Quasi onnipresente nella serie. Preoccupazione principale anche nel nostro quotidiano. Il rispetto della nostra intimità e dei nostri pensieri. Nel telefilm le nano-macchine all’interno del nostro corpo e l’innesto sottocutaneo offrono un servizio di supporto e monitoraggio continuo sia dal punto di vista tecnico che psicologico e biologico, portando all’estremo questa preoccupazione in uno dei tester. Pensateci: nessuna possibilità di mentire o negare di fronte ad emozioni o disagi, tutto sotto l’occhio attento di un addetto ai lavori. Tuttavia Osmosis afferma che non c’è un effettivo controllo della mente, né dei pensieri, né di altro, ma solo una osservazione da un punto di vista biologico: poiché pensieri ed emozioni sono degli impulsi elettrici, attraverso i dati raccolti si può dedurre quali emozioni e sentimenti si stiano provando. Prima dell’intervento umano c’è l’intelligenza artificiale che si occuperà di un primo approccio, mentre in casi più preoccupanti ci sarà un “richiamo” dal personale medico dello staff. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale è semplice e il telefilm lo rende chiaro sin dalle prime sequenze dedicate ai beta test prima dell’impianto: interfacciarsi con un robot riduce drasticamente il tasso di menzogna, poiché non si percepisce né il senso di giudizio né imbarazzo nell’affrontare temi sensibili, specialmente di natura intima. Potrebbe essere tranquillamente paragonato alla creazione di un avatar ideale o più semplicemente al trovarsi dietro un monitor. Ci sentiamo protetti, al sicuro e quindi più propensi ad esporci, senza contare che con un gesto della mano sull’innesto le comunicazioni con l’operatore si disattivano, rendendo impossibile il monitoraggio, dando la possibilità di scelta all’utente con una semplice disconnessione.

La tecnologia come strumento di influenza e manipolazione

E passiamo quindi al secondo argomento principale, una preoccupazione diffusa e applicabile a tutte le novità tecnologiche. Può la tecnologia avere un’influenza e manipolare l’io e la mente umana? La cosa che più mi è piaciuta della serie Osmosis è proprio che attraverso la narrazione delle vicessitudini delle “cavie” del beta test dimostra per l’appunto che una tecnologia non porta ad un risultato univoco, né tramite il suo corretto utilizzo né grazie ad una aderenza al “manuale di istruzioni”, perché per quanto ci possano essere calcoli e considerate le variabili, una fattore renderà imprevedibile il risultato finale: l’uomo. Basti pensare che quando accade un evento negativo come un atto di violenza, un omicidio, una ossessione o dipendenza, spesso si riconduce tutto questo all’utilizzo delle nuove tecnologie che portano ad isolamento, comportamenti antisociali o sociopatici. Queste problematiche sono reali e non starò qui a smentirle, ma non è l’uso della tecnologia in sé il fattore scatenante, bensì un semplice mezzo di conforto, esattamente come potrebbero essere per un utente tossico di serie tv, oppure la dipendenza da alcool. Anche in questo i tester di Osmosis dimostrano l’infondatezza di questo preconcetto. L’uso della tecnologia non è correlato con gli atti di violenza, l’aggressività ecc, ma col bisogno di crearsi un posto sicuro, un’isola felice. L’app Osmosis ti porta davanti l’anima gemella e di fatto il suo compito termina lì, e starà a noi e solo a noi scegliere se e come approcciarla, se viverla oppure no, reagire bene o male, rispondere con aggressività o amore che sia e questo dipende dal nostro più intimo io e dalla nostra morale soggettiva. Per quanto il programma possa essere accurato nei suoi calcoli, il responso potrebbe non essere veritiero a causa della variabile umana. Il potere decisionale, le scelte di ognuno di noi sono incontrollabili. Sta solo all’utente stare all’interno delle regole di utilizzo o uscire fuori dai margini. Ciò che ne deriverà sarà solo il risultato delle sue scelte, nulla di più, nulla di meno, e questo vale sia per chi sta dentro la rete di Osmosis sia nei confronti di chi ne regola il corretto funzionamento.

Basti pensare all’esperimento condotto dal nostro boss Nerd Erick Cannamela su Tinder. Anche se l’utenza lo usa per incontri di rapporto occasionali, in realtà era stato concepito come un sito di incontri romantici e la community ne ha modificato l’indirizzo. Se volete saperne di più sull’argomento andate al link che vi lascio qui in descrizione. Fidatevi, ne vale la pena.

http://www.nerdattack.it/nerdpensiero/si-puo-giudicare-un-libro-dalla-copertina-lamore-al-tempo-tinder/

Ogni giorno vediamo nuove innovazioni tecnologiche, sempre più vicine a noi, che ampliano il contatto uomo-macchina per facilitare la nostra vita e la cura della nostra persona. Ma dove porterà questa tecnologia? Quali saranno le potenzialità e i mezzi  che le nuove ricerche mettono a nostra disposizione e quali nuovi mercati potrebbero esserci proposti? Non ci è dato conoscere il futuro e serie come Osmosis possono fornirci una finestra su una possibile realtà, ma una cosa è sicura: il risultato che otterremo da questo rapporto dipenderà solo dalle nostre scelte. Starà a noi scegliere di mantenere la nostra umanità o inaridirci fino a rimanere completamente indifferenti a tutto.

Dalla vostra Grayfox_001 è tutto e vi ricorda che per rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità e curiosità del mondo nerd il posto è uno solo: Nerd Attack! Alla prossima amici lettori!

 

 

Che mi compro con 26 miliardi di dollari?

By NerdPensiero, Tecnologia No Comments

La notizia è di quelle che fa tremare l’economia del mondo tecnologico.

Microsoft ha comprato LinkedIn per 26,2 miliardi di dollari. Pagamento cash. Come se noi scendessimo dal paninaro e pagassimo in contatti. Più o meno le proporzioni sono quelle.

microsoft compra linkedin paperon de paperoni

Il fatto è che 26.2 miliardi di dollari sono veramente tanti. Facebook ha pagato “solo” 19 miliardi Whatsapp. La mossa di Microsoft ha spiazzato un po’ tutti, ma il colosso di Redmond ha ormai abituato ad operazioni del genere. Nel 2011 si portò a casa Skype con 8,5 miliardi e nel 2013 comprò Nokia per 7,17.

Il problema è che queste sono cifre talmente alte che non riusciamo neanche a quantificarle…

In questo momento potremmo comprare allo stesso prezzo la bellezza di 94 mila e 698 Ferrari F12berlinetta (insomma quella che costa di più nel catalogo, cioè 276 mila $ l’una), potremmo comprare 52 volte Lanai Island, la sesta più grande isola delle Hawaii. L’unica disabitata. Ma popolata da turisti che soggiornano in lussuosissimi resort (l’ha comprata il miliardario Larry Ellison, patron di Oracle, nel 2012 per la modica cifra di 500 milioni di dollari).

Lanai Island, Hawaii. Venduta solo a 500 milioni. Che pezzenti.

Lanai Island, Hawaii. Venduta solo a 500 milioni. Che pezzenti.

Insomma potrei continuare all’infinito con questi esempi, ma penso che ormai la grandezza dell’affare sia abbastanza chiaro.

Fondata nel 2002, LinkedIn oggi vanta oltre 430 milioni di utenti nel mondo, in aumento del 19% nell’ultimo anno, è stato uno dei pionieri nel mondo dei social network. I suoi servizi sono rivolti sia ai consumatori che alle aziende, in grado di cercare e trovare personale qualificato attraverso i suoi servizi.

microsoft compra linkedin logo linkedinMicrosoft, che si trova con degli strumenti ottimi per il lavoro come Office 365 – la versione cloud della sua famosa suite – fino a Windows 10 e alle piattaforme come Dynamics, ora può farli sfruttare ancora di più grazie all’enorme potenziale per può dare LinkedIn ed i suoi utenti. Una mossa che lancia il colosso di Redmond nel fantastico mondo dei social, sempre se Facebook non si decide definitivamente a rompere le uova nel paniere di LinkedIn. Mark Zuckerberg ha messo da tempo gli occhi sul settore professionale. Facebook ha da poco introdotto “Facebook at Work”, un servizio ancora in evoluzione che vuole mettere da una parte una serie di servizi per le aziende, dall’altra il social network per veicolare domanda e offerta di lavoro. Insomma, bisognerà vedere le evoluzioni del mercato.

Intanto Microsoft compie la sua mossa comprando.

Noi possiamo solo continuare a sperare che ci venga l’idea giusta da poter poi vendere a suon di miliardi.

Facebook: arrivano le “reazioni”

By Tecnologia

Facebook è ormai riconosciuto come il maggiore aggregatore sociale virtuale. Molto spesso negli anni, però, gli utenti hanno sempre più lamentato la mancanza di poter esprimere disapprovazione sui post dei propri amici. Come la presenza del “Mi piace”, sempre più forte era la richiesta di un tasto “Non mi piace”. A quanto pare Mark Zuckerberg, padre/padrone della piattaforma blu più famosa al molto, ha deciso di aprire verso questa richiesta quando ha dichiarato: “Non vogliamo portare altra negatività nel mondo”, frase rilasciata durante una sessione di domande e risposte presso le sedi ufficiali di Facebook: “Credo che la gente stia richiedendo il tasto Non mi piace ormai da troppi anni”.

Apertura quindi a questo cambiamento che però non prevedrà un vero tasto “Non mi piace” ma delle emozioni che si andranno ad affiancare al “Mi piace”: Love, Haha, Wow, Sad e Angry. Questa saranno accompagniate da una emoticon che rappresenterà lo stato d’animo rispetto quello che l’utente prova alla lettura di notizie o post dei propri amici. Scartata una sesta opzione, definita Yay, che non è stata ben compresa dai primi tester.

facebook_reazioni

Dopo un periodo di test effettuato lo scorso anno, Facebook ha intenzione di rilasciare la funzionalità a breve, come sempre inizialmente con i profili oltreoceano. Un portavoce della compagnia ha dichiarato a Bloomberg Businessweek che le Reazioni arriveranno “presto, nelle prossime settimane”.

Sulle applicazioni mobile le Reazioni verranno nascoste sotto il tasto “Mi piace” tradizionale: si attiveranno infatti dopo una pressione prolungata su di esso in modo da poter scegliere una specifica fra le cinque sopra menzionate.

Interessante sarà quello che queste Reazioni svilupperanno nelle interazioni tra utenti. Tutto ciò che gli utenti compiono nel social di Zuckerberg è ben studiato per creare dei profitti grazie all’enorme flusso di informazioni che poi vengono vendute ad agenzie pubblicitarie. Quindi, nonostante la scusa della richiesta insistente degli utenti, Facebook potrà avere maggiori opinioni in futuro su ciò che rende felice, triste o arrabbiata la gente. Il tutto porterà ad una semplice richiesta di mercato: quanto costa un emozione su Facebook?

Mark_Zuckerberg

Zuk Z1: E’ arrivato il momento di recensirlo

By Tecnologia

Zuk Z1 ha rapito il nostro cuore tecnologico e lo ha fatto in maniera tempestiva ed irruenta. Il suo valore è fin da subito palese e oggetivo; le performance la fluidità e l’autonomia sono i tre punti cardine che rendono questo device a nostro giudizio il vero e proprio Best Buy 2015 ed è sciuramente l’unica vera rivelazione di quest’anno. Si era creata molta attesa nei confronti di questo smartphone e dopo averlo provato per circa 2 settimane possiamo dire con certezza che tale attesa era giustificata.

PER ACQUISTARE ZUK Z1 : LINK

Il terminale è ben costruito ed elegante, non a caso Zuk ha alle spalle un’azienda come Lenovo che rientra tra i top Brand mondiali. C’è quindi un grande brand dietro a questa azienda che si propone di irrompere nel mercato europeo con un prodotto di qualità decisamente diverso dalla maggior parte dei cinafonini. Zuk Z1 viene venduto in un’elegante confezione quadrata e bianca con il logo della compagnia che occupa il centro.

ECCO LA NOSTRA VIDEORECENSIONE :

 

Una volta aperta, troviamo al suo interno lo smartphone adagiato nell’apposito slot, un alimentatore da 2 Ampere, un cavo USB Type-C con un’estremità di tipo-A, la consueta manualistica ed il pin per l’inserimento della SIM. Nulla di eclatante in questo frangente, ma non è certo la prima azienda che fornisce lo stretto indispensabile nella confezione. Da segnalare, quindi, l’assenza delle cuffiette auricolari. Ma senza troppi preamboli passiamo alla vera e propria recensione.

 

FORM FACTOR : VOTO 8.5

Nulla da invidiare ad altri top di gamma di brand più blasonati. La costruzione di questo Zuk Z1 è di altissimo livello e lo si percepisce sia dalle fresature laterali completamente in alluminio e sia per l’elegante scocca retro in policarbonato traslucido. I tasti laterali sempre in alluminio rendono ancor più elegante il terminale e si sposano benissimo con tutto il design. In basso abbiamo addirittura una porta Usb Type C ( molto rara anche in smartphone top di gamma 2015 ).

 

Nella parte sinistra dello smartphone abbiamo, invece un’alloggiamento per Nano Sim ( il device è dual sim ). Purtroppo non abbiamo espansione mediante MicroSd, ma non c’è da preoccuparsi dato che Z1 è dotato di ben64 GB di memoria Rom. Di contro bisogna, però, evidenziare quanto a dimensioni sia poco ottimizzato rendendo di conseguenza il device poco maneggevole ed ergonomico.

BATTERIA : VOTO 10

Senza dubbio il miglior smartphone android in questo settore. La batteria che alimenta questo terminale è da ben4100 Mah e rispetta decisamente le attese. Non solo un ottima unità ma anche un ottimo lavoro di ottimizzazione software rendono lo Z1 perfetto in questo segmento. Infatti in questi giorni durante le nostre consuete prove stress abbiamo riscontrato un’autonomia senza eguali. Nessun problema a portare a termine due interi giorni con uno intensivo, con in media 5/6 ore di schermo attivo. Per completezza di seguito vi riportiamo vari screenshot con le statistiche della batteria.

HARDWARE : VOTO 8

Non di certo hardware di primo pelo, però bisogna sottolineare quanto sia ancora attuale sia per prestazioni che per stabilità. L’ottimo snapdragon 801 che era stato il cuore pulsante di galaxy s5 l’anno scorso, ad oggi ha ancora prestazioni degne di nota. Inoltre, essendo ottimizzato al meglio, non si hanno mai problemi di instabilità o cali improvvisi della batteria. Tecnologia per certi versi superata, ma che con il tempo ha raggiunto una maturità tale da farla preferire ai problematici ma ”nuovi” snapdragon 810. Zuk non si è però risparmiata nel settore memoria dove abbiamo ben 64 GB di memoria Rom e 3GB di ram. Tutto questo si traduce in un device stabile prestante e affidabile sotto ogni punto di vista. Z1, inoltre, è dotato di lettore biometrco molto affidabile ma soprattutto il più veloce sul mercato ( da vedere come annichilisce il lettore d’impronte digitali di Galaxy S6 edge in questo video ).

GAMING & DISPLAY : VOTO 8

L’ottima Gpu Adreno 330 3D, @578 MHz garantisce un’esperienza videoludica fluida ed efficace grazie anche al bellissimo display 5.5 ( tecnologia IPS ) Full-HD. Durante le sessioni di gaming quasi mai si assiste a cali di frame importanti essendo comunque la scheda video la stessa che veniva appena un anno fa montata sui top di gamma. Il pannello display è un’unità con tecnologia IPS e per questo motivo i colori riprodotti sono sempre ben bilanciati e mai troppo saturi. Molto bene la luminosità dello schermo, adeguata anche sotto la luce diretta del sole. Svolgono discretamente il loro lavoro i vari sensori di luminosità e luce ambientale.

BROWSER : VOTO 8 

Essendo il software sviluppato dal team Cyano non potevamo aspettarci altro che velocità e fluidità in ambito browser. L’esperienza è sempre godibile e la fruizione dei contenuti viene esaltata dall’ampia diagonale dello schermo. Anche dopo ore e ore di utilizzo il browser stock non risente di alcun tipo di incertezza e le temperature del device sono sempre accettabili. Il touch segue bene in ogni circostanza il movimento delle dita.

FOTOCAMERA : VOTO 6.5 

Nota che stona con tutto il resto è proprio il settore nevralgico di tutti gli smartphone, ovvero la fotocamera. Non di certo all’altezza di un device che sorprende in tutto e per tutto. Il sensore posteriore pur essendo da ben 13 Mgpx retituisce degli scatti a volte davvero pessimi. Ulteriore neo della fotocamera posteriore di questo Zuk Z1 è certamente la messa a fuoco che risulta abbastanza lenta se paragonata a quella di altri dispositivi concorrenti. Le foto, però, in generale appaiono ben definite, con un discreto livello di dettaglio ed un effetto complessivamente apprezzabile (all’esterno la qualità è, ovviamente migliore).  Quest’ultima cala, ovviamente, in presenza di scatti notturni o a luminosità ridotta. Buona anche l’applicazione personalizzata da CyanogenOS. In ultima analisi, bisogna evidenziare degli infimi scatti in modalità HDR a nostro avviso troppo aggressiva nel bilanciamento dei colori. La fotocamera anteriore dispone di un sensore da 8 Megapixel in grado di fornire buoni scatti in condizioni di luminosità favorevole. Gradevole, infine, la qualità dei video con possibilità di effettuare anche time-lapse. Di seguito vi lasciamo alcuni scatti in formato originale cosi che possiate valutare stesso voi le prestazioni della fotocamera.

 

GALLERIA 

 

 

CONCLUSIONI :

Zuk Z1 è sicuramente un dispositivo molto interessante, soprattutto per il prezzo al quale viene proposto ( 299 € su Amazon ). La presenza di un lettore d’impronte digitali, l’ingresso USB Type-C, una batteria perfetta, un software supportato e duraturo, sono sicuramente caratteristiche che rendono Zuk Z1 il best buy per antonomasia ( almeno per quest’anno )12

Zopo Speed 7: Unboxing & Recensione

By Tecnologia

Dopo averlo testato diversi giorni è arrivato il momento di recensire il nuovo Speed 7 di casa Zopo. Questo smartphone ha completamente sorpreso le mie aspettative. Il prezzo di listino di questo device è di solo € 199. A questo prezzo potrete portarvi a casa un terminale con hardware da non sottovalutare assolutamente. Ecco di seguito un immagine che riassume tutte le specifiche tecniche dello Speed 7

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Senza troppo dilungarci in inutili preamboli partiamo con la vera e propria recensione nel dettaglio :

FORM FACTOR : VOTO 7.5

Nonostante tutto il device sia costruito in policarbonato, dobbiamo inevitabilmente sottolineare l’attenzione nei dettagli da parte di Zopo in questo Speed 7. Le trame laterali sembrano rifinite in pregiato alluminio e tutta la costruzione è ben salda e non si sentono scricchiolii sospetti. Tutto ciò denota sicuramente un’ottima resa nel tempo.

DISPLAY : VOTO 8

Lo Speed 7 monta un bellissimo pannello Full HD con 480 Dpi. Il pannello è di ottima qualità e lo si percepisce soprattutto quando si usa lo smartphone in esterno e quando la luce del sole batte direttamente sul dispaly. Lo schermo come detto resta godibile e fruibile anche all’aperto. I colori sono ben tarati ed è sempre molto piacevole guardare contenuti multimediali.

Ecco a voi la nostra Videorecensione, buona visione :

BATTERIA : VOTO 7

Nonostante non sia una batteria potentissima quella di Zopo Speed 7, riesce a garantire comunque un ‘autonomia discreta. Con un uso intenso si riesce tranquillamente a coprire l’intera giornata.

HARDWARE : VOTO 7.5

Siamo dinanzi ad uno smartphone che solo per il prezzo potremmo definire entrylevel poichè l’hardware ci dice ben altro. Abbiamo un processore MTK 6753 octacore 64 bit, 3GB di ram, 16 GB rom. Difficile trovare di meglio a questo prezzo.

FOTOCAMERA : VOTO 7 

Certamente non siamo dinanzi ad un top di gamma e questo lo si percepisce soprattutto dal sensore montato su questo Speed 7. Abbiamo una fotocamera retro da 13 mgpx e una frontale da 5 mgpx. Gli scatti in diurna sono sempre buoni in ogni circostanza ma i problemi arrivano in sessioni fotografiche in notturna. Ecco di seguito alcuni scatti in formato originale, cosi che possiate valutare stesso voi la genuinità delle foto.

 

 

Zuk Z1: Ecco il nostro Unboxing & prime impressioni

By Tecnologia
Il marchio Spin off della piu nota Lenovo si butta sul mercato smartphone con il nuovissimo ed interessantissimo Zuk Z1
Finalmente dopo una lunga ed estenuante attesa siamo riusciti a mettere le mani su uno dei dispositvi, forse tra i più attesi di questo fine 2015. Vi stiamo parlando dell’ultimo nato in casa Zuk ( azienda spin off di Lenovo ).Molti lo hanno definito l’anti Oneplus e dobbiamo confermare che i presupposti ci sono tutti. Questo Zuk Z1 segue un po il trend di questi ultimi tempi, ovvero smartphone con alte performance, ottima dotazione hardware ad un prezzo ragionevole. Cavalcando quindi l’onda di entusiasmo creatasi attorno a questo fenomeno, Zuk ha pensato bene di sfornare un device con prestazioni da capogiro senza però sparare alto sul prezzo.

Lo Z1, infatti, lo si trova facilmente attorno ai 300 € ed offre un comparto hardware che non ha nulla da invidiare ai tanto conclamati Top di gamma di brand ben più balsonati. Di seguito vi elenchiamo tutte le specifiche tecniche: 

– Processore Quadcore Snapdragon 801 32 bit  2.5 Ghz

– Ram 3 GB 

– Rom 64 GB 

– Batteria 4100 Mah

– Usb 3.0 Type C

– Display 5.5 risol. 1920 x 1080

Di seguito vi rimandiamo al VIDEO Unboxing con le nostre primissime impressioni a riguardo, Buona visione :

RETRO RECENSIONE – Dino Crisis

By Tecnologia

Articolo a cura di Mirko Manzella.

Quando non si trova l’innovazione, si ritorna al passato. Frase fatta ma estremamente veritiera.

Da qualche tempo sta nuovamente spopolando quella tendenza anni ’90 vista in tutte le salse: dinosauri.

Merito, probabilmente, di giochi come Ark: Survival Evolved, titolo ancora in sviluppo dalla Wildcard ma già ampiamente stuprato da mezza Youtube (anche se gli sviluppatori ci hanno visto lunga), ma anche di progetti appartenenti a case più prestigiose che stanno rivalutando il genere, ma senza discostarsi molto dalle meccaniche che tanto vanno in voga di questi tempi (vedesi la Crytek con il suo Robinson: The Journey o Horizon: Zero Dawn).

Insomma, questa rivalsa preistorica non dispiace al sottoscritto – che ha sempre apprezzato i lucertoloni giganti fin dalla tenera età – ma è tanta la voglia di ripensare un po’ a quei titoli stagionati che hanno saputo realmente cavalcare la cresta di questa stravagante tematica.

Chi di voi, cari lettori, ha abbastanza anni da essersi goduto a pieno la seconda metà degli anni ’90, non potrà non aver già pensato a due titoli iconici sul tema: Turok e Dino Crisis.

Lasciando stare il primo dei due, che ha goduto di un deludente terzo capitolo in old gen, focalizziamoci su quello che è stato una piccola novità per l’epoca, ma che ha garbato immensamente i fan del survival horror – pace all’anima sua – vale a dire Dino Crisis.

Negli anni in cui gli zombie di casa Capcom infestavano gli incubi di tutti i gamer e Resident Evil fu proclamato a gran voce come re indiscusso del survival horror, la stessa casa produttrice scelse di dare alla luce un “fratellino” al pluri premiato titolo, lasciando invariate molte meccaniche di gioco del suo predecessore, ma cambiando decisamente tematica.

Nel 1999 la sofware house lancia sul mercato Dino Crisis, titolo survival panic (sostituendo la parola “horror” proprio per la presenza di dinosauri e non di zombie) per la prima piattaforma Sony e, l’anno seguente, per Pc e Sega Dreamcast.

Essendo stato prodotto nel periodo tra Resident Evil 2 e 3, il titolo è certamente influenzato da questi. Il sistema di controllo, i movimenti e il gameplay sono molto simili a quelli del fratello maggiore, ma al contrario di quest’ultimo Dino Crisis usa un motore grafico 3D (al posto dei fondali prerenderizzati) ed una rotazione costante della telecamera di gioco ed ampliando anche il comparto di movimento del personaggio giocabile, con possibilità di roteare lo stesso di 180 gradi e camminare con l’arma puntata.

Il titolo, ambientato nel 2009, narra le vicende di una task force mandata in missione in un’isola (Ibis Island) per investigare sul centro di ricerca Third Energy e degli esperimenti fumosi portati avanti da un certo Dottor Edward Kirk.

Una volta dentro lo stabilimento, prenderemo il controllo di Regina (unico personaggio giocabile) che, insieme ai compagni Gail e Rick, scoprirà dopo poco tempo la presenza di dinosauri all’interno del centro di ricerca e, inoltre, che tutto il personale è stato letteralmente massacrato dalle bestie.

Con una cornice questa cornice narrativa tetra ed abbastanza splatter, Dino Crisis lancia il giocatore in ambientazioni cupe, claustrofobiche e ben fatte, con tante stanze piene di dettagli come l’arredamento e corpi dilaniati un po’ dappertutto (con scie di sangue evidenti).

Anche il livello di realismo è buono: ad esempio, dopo che avrete smosso una grata per attraversare un condotto, questa resterà per terra anche dopo che avrete cambiato locazione.
Come ho detto prima, in Resident Evil si faceva uso della telecamera fissa proprio per ovviare alla presenza degli sfondi prerenderizzati, mostrando però una calibrazione certosina della telecamera in alcune situazioni. Purtroppo tale telecamera è presente anche qui e non si è liberi di manovrarla a nostro piacimento.

Se da un lato questo rispecchia la volontà dei programmatori di voler creare e mantenere una più che giustificata suspance, dall’altro si appesantisce la giocabilità, mostrando un ottimo impianto grafico, ma rovinato clamorosamente da una pessima gestione della telecamera (tipico della Capcom dell’epoca).

Il comparto sonoro di Dino Crisis è abbastanza controverso. Per quanto riguarda i soli effetti sonori, nulla da obiettare dato che tutto è reso fedelmente, dal semplice colpo di pistola fino al maestoso ruggito del T-Rex – e solo i versi/suoni che provengono dalle bestie sono bastevoli a far aumentare quel livello di suspance voluto dai programmatori.

Le musiche però sono difficili da valutare proprio per il loro numero assai scarso. Durante tutto il gioco, infatti, vi troverete immersi nel silenzio, accompagnati solo dal rumore dei vostri passi e di quelli dei dinosauri. Solo delle particolari situazioni ben determinate ( esempio: quando subirete un’imboscata da due dinosauri oppure in stanze dove dovrete parlare con qualcuno) avremo la presenza di musiche abbastanza scarne se paragonate a quelle di Resident Evil, molto meglio orchestrate e veriegate. Ciò non toglie che anche la sola presenza del silenzio, dei passi e di qualche verso macabro possono immergere il giocatore molto più intensamente, mostrando comunque una parvenza di realismo che non guasta mai nei survival horror.

Per quanto riguarda Regina, il nostro personaggio giocabile, sarà un bellla rossa dalle fatte semi-orientali specializzata nella personalizzazione delle armi (cosa che le torna molto utile nel gioco). Durante l’avventura, infatti, raccoglieremo vari tipi di munizioni e parti customizzabili del nostro arsenale per modificare quelle con cui partirete all’inizio (ossia pistola, fucile e lanciagranate).

Oltre a modificare le armi per renderle più potenti, potremo anche divertirci nel creare munizioni particolari per il fucile, ossia narcotici e proiettili avvelenati, con un diverso grado di potenza a seconda di come mischierete gli ingredienti che recupereremo per il centro di ricerca. Medesima cosa si potrà fare con i medikit, combinando vari oggetti base come emostatici e kit base per creare medikit grandi e con effetti tonificanti multipli.

Oltre alla possibilità di customizzare armi e medicinali, la sopravvivenza di Regina potà essere agevolata da un uso accurato dell’ambiente circostante, attivando barriere laser per poter bloccare il passaggio ai vostri nemici oppure aprire delle valvole di sfiato per far fuoriuscire del vapore bollente; ma spesso il classico metodo della fuga darà la soluzione a tutti i problemi, essendo anzi spesso costretti a farlo (i dinosauri si rigenerano in modo random e le munizioni non basteranno mai per tutti, fidatevi).
Come da tradizione dei survival horror di casa Capcom, non potevano mancare i classici enigmi.

Sebbene siano molto realistici e abbastanza impegnativi, ci troveremo innanzi a codici criptati, come gli enigmi dei D.D.K (Digital Disk Key) che consistono nel decifrare una password tramite una chiave contenuta appunto in questi dischetti speciali, oppure innanzi a tubi di vario da collegare con delle gru ed interi container da spostare per aprirci la via.
A coniugare i due aspetti fondamentali del titolo (combattimenti ed enigmi), ci saranno le scelte di gioco. Infatti, dovremo scegliere la strategia di missione da seguire in corrispondenza alle preferenze dei nostri compagni di squadra, optando per metodi o azioni più efficaci per portare a termine la missione principale, oppure mettere da parte le priorità che ci sono state ordinate per andare in soccorso di alcuni npc in difficoltà. Qualunque sia la scelta fatta, avremo dei finali diversi (3 in tutto) che si alterneranno a seconda della nostra propensione verso la missione da compiere o a seconda del nostro buon cuore.

Cari Nerd, abbiamo solo grattato la superficie di un piccolo, grande capolavoro che ha segnato l’infanzia – e le notti insonni – di molti di noi gamer di vecchia date, ma è il caso fermarci qui.

Il resto va giocato e vissuto in prima persona; riscoprendo, magari, il vecchio gusto del survival horror anni ’90.

Dino Crisis è un titolo da recuperare senza troppi indugi.

Metal Gear Solid V ed il nostro “Dolore Fantasma”

By Tecnologia

Articolo a cura di Mirko Manzella.

Sono terribilmente – e VOLUTAMENTE – in ritardo per iniziare a parlarne, ma stavolta è più dura del previsto, fidatevi.

E’ passato più di un mese da quando uscì quel il gioco che ha dato il titolo – ed una buona ragion d’essere – a questo editoriale e, no, non è un traduzione buttata a caso quella che da corpo a queste due righe, piuttosto il pretesto perfetto per iniziare a sputare veleno – si fa per dire, ovviamente – dalle zanne di un videogiocatore inferocito che punta a squartare e sviscerare il GOTY di questo funesto 2015.

 ATTENZIONE: Questa non vuole essere una recensione. Recensire Metal Gear Solid V: The Phantom Painè qualcosa di complesso e, lasciatemelo dire, “disonesto” non potendo dare un “voto” unitario che possa ragguagliare in toto l’essenza del gioco.

Quello che state leggendo altro non è che uno sfogo. Un’analisi a freddo di quel meraviglioso figlio nato deforme di Hideo Kojima. Un flusso di pensieri indotti da uno schiaffo in pieno viso che difficilmente, noi giocatori ed amanti del brand, potremo dimenticare e che ha dato metaforicamente vita alla nostra sindrome da “arto fantasma”.

 Dopo questa simpatica premessa, gettiamo le basi del discorso: Metal Gear Solid V, sia che venga inteso come “Vi” (maggiormente corretto, in verità) oppure come “Cinque”, ha dato una bella scossa di adrenalina a tutti i fan storici della serie, vogliosi ed impazienti di trovarselo per le mani, ma nel contempo ha lasciato tutti non poco perplessi.

Il titolo si sarebbe suddiviso in due capitoli: Ground Zeroes e The Phantom Pain.

E, giustamente, la domanda è legittima: Che mi sono perso? Perché dopo anni ed anni di sviluppo, non solo del titolo ma anche dei suoi predecessori, ve ne uscite fuori con una trovata commerciale in pieno stile Twilight Parte 1 e Parte 2?

Insolito, certo; ma non fa nulla. Stiamo sempre parlando di Metal Gear Solid e , sopratutto, di Hideo Kojima. Il tizio sa certamente il fatto suo.

Esce Gound Zeroes. Il prezzo è stato di circa € 50; il suo contenuto non supera le 2 ore di gioco della campagna principale ed il resto sono missioni secondarie che si svolgeranno dentro l’unica mappa di gioco disponibile (Camp Omega, per chi non lo sapesse).

Quel giorno il mondo si incazzò di brutto non tanto per Kojima, il quale aveva specificato che Ground Zeroes sarebbe stato solo un “tutorial” introduttivo alle nuove meccaniche di gioco, quanto con la Konami che aveva imposto un prezzo vergognoso, degno di un titolo ben più longevo di un semplice “tutorial” – se così vogliamo proprio continuare a definirlo con il senno di poi.

“Non fa nulla” si è ripetuto nuovamente. Le nostre tasche sono state svuotate con un truffa legalizzata, ma noi non demordiamo. Dopotutto, il Maestro sa quello che fa e non possiamo far altro che attendere ed aspettare il risultato finale con The Phantom Pain.

Tralasciando il simpatico scherzetto di Kojima – che ama far parlare di sé, lo sappiamo – sull’annuncio della Moby Dick Studio e del fittizio personaggio di Joakim Mogren (anagramma dello stesso Kojima) nel lontano 2012, dall’uscita di GZ fino al fatidico 1 settembre (data fissata per l’uscita di The Pahntom Pain) dello stesso Kojima si è sentito parlare fin troppo ed in modo abbastanza anomalo.

Liti continue con i dirigenti Konami, mobbing sfrenato verso il team di sviluppo, cancellazione retroattiva del nome dello stesso Kojima in tutti i titoli del brand Metal Gear, cancellazione di Silent Hill, licenziamento alle porte e fior fior di pesci d’aprile sui futuri progetti dello sviluppatore.

Se prima Kojima era notorio solo alla metà della popolazione mondiale, in più di un anno lo è diventato anche per l’altra metà, data la vergognosa mole di informazioni e notizie oggetto di tutte le testate videoludiche.

Strano; una compagnia che si rispetti certi dettagli scabrosi non li farebbe mai uscire dalle quattro mura del consiglio di amministrazione. Ma qui stiamo parlando della Konami; una compagnia che fa del marketing anomalo il suo cavallo di battaglia e – qui lo dico e qui lo nego – il tanto scalpore e la tanta vergogna di queste dichiarazioni hanno sempre e comunque portato nella loro bocca un nome ben preciso (The Phantom Pain, per l’appunto) che, volenti o nolenti, si è trasferito a sua volta nelle bocche di milioni di consumatori i quali, se vogliamo dirla proprio tutta, superano di gran lunga il numero delle copie vendute dei precedenti titoli (in costante diminuzione, tra l’altro).

Ma lasciamo stare le scaramucce tra datori di lavoro e contraenti e passiamo al succo del discorso.

Dopo 1 anno e 5 mesi dall’uscita di Ground Zeroes, una valanga di trailer e cut scene, una quantità ancor più grande di liti di ormai dominio pubblico e con un totale di circa 80 Milioni di Dollari nel mezzo, viene rilasciato finalmente Metal Gear Solid V: The Pantom Pain – con qualche Day One rotto in Inghilterra e sul web.

I fan della serie gioiscono come non mai per il capitolo conclusivo della loro saga preferita. Il cerchio si chiude e vissero tutti felici e contenti, sopratutto dopo un tweet dello stesso Kojima che recitava: “Non ho rimpianti. Sono soddisfatto del prodotto finale”.

最後の最後まで想いを込めて、修正、調整、デバッグをやりきりました。とてもいい仕上がりになりました。安心して「MGSV TPP」を遊んでやって下さい。 待たせたな。 さあ、そろそろ出撃の準備を始めよう。 V has come to.pic.twitter.com/dYf3JqfHqt

— 小島秀夫 (@Kojima_Hideo) 31 Agosto 2015

Insomma, se a dirlo è Kojima non possiamo che esser soddisfatti anche noi, a priori e con gli occhi bendati.

Acquisto il titolo nella sua versione Pc; mi siedo comodo ed inizio ad immergermi in quell’ultimo capitolo che avrebbe chiuso per sempre un ciclo della mia infanzia, apertosi nel lontano 1998.

Passano sette lunghi giorni. Mi avventato sul gioco spolpandolo fino al midollo in maniera quasi ininterrotta, non risparmiando nemmeno una texture, un poligono, un’audiocassetta, un’arma, una risorsa, una mimetica; nulla.

L’ho ridotto veramente all’osso.

Ed è proprio adesso che vengono i nodi al pettine.

Finito il gioco non ne ero pienamente cosciente, a dirla tutta.

Mi sono detto: “Bello, ma c’è qualcosa che non va. Mi sono sicuramente perso qualcosa”.

Insomma, un Prologo, un Primo ed un Secondo Atto non fanno un gioco o, per lo meno, non fanno – o non dovrebbero fare – TPP.

Si, ci stava il finale – tra l’altro molto bello e che ha riscritto praticamente da zero la serie di eventi che avrebbero portato al primissimo Metal Gear – ma mancava qualcosa che, senza ombra di dubbio, doveva collocarsi nel mezzo.

Passa il tempo; inizio a documentarmi per benino – si, ero in fase anti-spoiler e dunque totalmente alieno alle discussioni che erano nel frattempo nate sul web – ed ho anche iniziato a discutere con chi ha manifestato molto prima di me ed in modo abbastanza palese la verità che si celava dietro il titolo e, dopo tanta abnegazione, sono arrivato alla conclusione tanto disprezzata: The Pantom Pain è un titolo INCOMPLETO.

Non lascerò che lo stupro legale DELLA saga nata 28 anni fa e che ho vissuto dal ’99 rimanga in silenzio.

Seguitemi, in questo. Per favore.

Si, miei cari lettori. MGSV:TPP altro non è che un monumentale colosso videoludico con il miglior gameplay della serie ma senza i suoi “attributi”, uno stallone dalle possenti dimensioni e capacità che è stato letteralmente CASTRATO di netto e senza la benché minima pietà.

Il gioco è incompleto e manca la struttura di intermezzo, senza se e senza ma; e non sono di certo io a sostenerlo.

Parlano i fatti, le missioni ripetute in difficoltà aumentata senza apparente motivo logico, l’incongruenza narrativa con i vecchi capitoli, le quest interrotte, le domande lasciate in sospeso e la scoperta, fatta poco dopo ma non confermata da Konami, di una serie di Atti successivi al Secondo che sono stato cancellati.

Il titolo, dunque, avrebbe – e sottolineo AVREBBE, dato che potrebbe benissimo trattarsi di un semplice fake che, però, non riesce ugualmente a nascondere l’immenso lavoro che vi sta dietro – presentato non due, ma bencinque Capitoli con un Prologo ed un Epilogo – non si è mai visto infatti un prologo senza che finisca con un epilogo…..prima di TPP, ovviamente – con tanto di titoli correlati e, per come la vedo io, in linea con la narrazione che avrebbe dovuto prendere nel complesso il gioco.

Sia chiaro, Capitoli che non vedremo mai, data la conferma da parte della Konami di non voler rilasciare DLC riguardanti la campagna principale – dare una cresta cazzuta a D. Horse è più importante a loro avviso.

Parlare di Capitoli mancanti, però, è solo la “punta dell’iceberg” di una situazione molto più semplice e che, con un po’ di intuito e buona memoria, può apparirci chiara fin da principio, essendoci stata sbattuta in faccia in modo più o meno palese.

Mi riferisco a quella carrellata di trailer che ci sono stati mostrati ai tanti eventi E3 ed affini dedicati al titoli.

Tante cutscene che non solo sono le uniche presenti nel gioco, ma che contengono anche una serie di immagini, di momenti, di avvenimenti che nel titolo non sono affatto presenti.

Ed ecco qui che abbiamo una prima e già palese dimostrazione di cut content brutalmente esportato dal progetto originale e che potete vedere nell’immagine qui riportata e creata da uno sviluppatore Indie italiano della Software House WitheThunderProduction, appassionato del titolo e con l’occhio abbastanza attento da notare le mancanze – e le furbate che ci stanno sotto.

 

Altro palese schiaffo in pieno viso e che prende il nome di “cut content” stavolta viene mollato a chi ha scelto di acquistare la Collector Edition del titolo, dando la possibilità di gustarsi la famigerata Missione 51, un filmato che mostra lo scontro tra Punished Snake ed il giovane Eli a bordo del Sahelanthropus, mettendo così un punto a quella questa interrotta nella campagna principale (ma che non trova comunque una sua precisa collocazione temporale nel complesso degli eventi).

Insomma, chi ha pagato di più ha avuto un contentino in più; il messaggio penso sia chiaro e limpido come il sole.

Ora, preso atto e consapevolezza che qualcosa manca davvero; cosa abbiamo intenzione di fare? Scagliare una pietra in piena fronte del responsabile di questo scempio? E poi, a chi dovremmo tirarla? Alla Konami, che si è vista depauperare di 80 milioni di Dollari con la seria fobia di non rivedere più quella somma di denaro, oppure al caro Kojima che, con tanta superbia, si reputa “soddisfatto e senza rimpianti” della propria creatura nata deforme?

Quel che è fatto è fatto, cari Nerd.

Il risultato è sotto i nostri occhi e quelli che ci hanno rimesso più di ogni altro proprio noi, quei fan giovani o vecchietti che hanno amato la saga fin dai suoi albori, lasciando che questa porti via incondizionatamente una parte dei nostri cuori e della nostra infanzia.

Abbiamo pagato, senza volerlo, un prezzo molto alto: il nostro affetto e le nostre alte e fondate aspettative verso qualcosa che, a conti fatti, era una sana certezza.

Si, il cerchio si è chiuso alla fine; ma manca il percorso, la linea guida, la “trasformazione dell’ogre” – per usare un’analogia poco felice nel contesto, ma abbastanza azzeccata.

Potrei continuare a scrivere righe su righe di lamentele ed illazioni su questa strana e amara situazione, ma ciò che è stato è stato e, purtroppo, non possiamo farci nulla.

Il mercato vince e noi consumatori perdiamo; ma una cosa è certa: non dimentichiamo.

Cari lettori, con questo editoriale non voglio lamentare un gioco incompleto, seppur importante ed atteso, ma voglio trasmettere quell’amarezza legittima e sacrosanta che si ha quando si affida il proprio denaro, la propria fiducia ed affetto a chi, in cambio, ci dona un vero e proprio “Phantom Pain” che non deve mai esser messo a tacere.

Questo è il nostro Dolore Fantasma, la nostra sindrome da arto mancante.

Mai fu più azzeccata Donna Burke: la colpa, stavolta, è proprio dei “Padri”, gli stessi che hanno trasformato il nostro amato Big Boss in un video poker.

Samsung Galaxy S6 Edge Plus: La nostra Video-Recensione

By Tecnologia

A fine presentazione Samsung tenuta nel mese di settembre eravamo tutti delusi e amareggiati per la scelta da parte della casa sud koreana di non commercializzare in Europa in un primo periodo il Galaxy Note 5 in favore del Galaxy s6 Edge plus. Ebbene la delusione non è affatto svanita, anzi dopo aver provato per svariati giorni Galaxy s6 edge Plus le perplessità sono aumentate non per il valore e le performance dello smartphone in questione ( che sono palesemente di alto livello ) ma perchè davvero non porta alcuna novità rilevante con sè. Fatta questa dovuta premessa bisogna però dire che il device in questione è fantastico proprio come lo era S6 Flat e il suo gemello diverso S6 edge.

FORM FACTOR : VOTO 9

Proprio come il fratello minore questo S6 Edge Plus è uno spettacolo per gli occhi, seppur con meno eleganza date le sue dimensioni generose. Infatti essendo uno smartphone con schermo da 5.7 pollici le sue linee non risultano cosi dolci e delicate sfociando in un profilo ben più duro e aggressivo. Certo sono inezie e pignolerie che riportiamo per dovere di cronaca ma tutto sommato siamo dinanzi ad un terminale che sicuramente rientratra i più belli di questo 2015. Ai lati abbiamo delle trame in alluminio che ospitano due vetri Gorilla Glass 4 ( uno per il dispaly e uno per la scocca posteriore ). I tasti power/off e quelli del bilanciere del volume sono ben assemblati e sempre ben rifiniti. La camera posteriore è abbastanza sporgente, sicuramente non si sposa benissimo con il design lineare del dispositivo. Questo dettaglio potrebbe far storcere il naso a molti, poichè con il tempo potrebbe essere soggetta ad usura.

DISPLAY : VOTO 9

Senza se e senza ma, siamo dinanzi al milgior display per smartphone. Il device ospita un unità con tecnologia Super Amoled da 5.7 pollici con risoluzione 2560×1440 ( 515 ppi ). Questo pannello display offre il massimo della nitidezza, le immagini sono sempre ben definite e mai con colori smorti. In ogni circostanza non si ha difficoltà ad apprezzare i contenuti riprodotti dallo schermo, leggibile e godibile anche sotto la luce diretta del sole ( tra i più visibili ). In termini meramente energetici, di contro bisogna sottolineare che la risoluzione altissima del super amoled è una sorta di tallone d’Achille.

BATTERIA : VOTO 7 

Come anticipato, la batteria pur essendo un’ottima unità da 3000 Mah deve far i conti con un pannello display molto energivoro. L’altissima risoluzione e il potentissimo processore mettono a dura prova la batteria che però se la cava egregiamente grazie anche ad un ottimo lavoro di ottimizzazione software effettuato dal Team ingegneristico di Samsung. Io personalmente in questi giorni pur avendo messo sotto stress S6 edge Plus sono sempre arrivato a ora di cena agevolemente. 

HARDWARE : VOTO 9.5

Il più potente del 2015 e potremmo chiudere qui la recensione. Abbiamo a bordo di questo fantastico terminale un processore Octacore exynos 7420, accompagnato da 4 GB di ram ( un GB in più rispetto al fratello minore ) e 32 GB di rom. La scheda video che muove il tutto è la ARM Mali T 760, offre prestazioni sempre al top ma le analizzeremo dopo nella prova Gaming. Ovvio che con questa scheda tecnica non ci sono lag e problemi di impuntamenti in generale. L’esperienza d’utilizzo quotidiano è perfetta e piacevole. L’abbiamo ripetuto più volte, quest’anno Samsung ha lavorato bene sia sotto il profilo design sia sotto il profilo software per i propri terminali.

ECCO LA NOSTRA VIDEO RECENSIONE : 

 

GAMING : VOTO 9 

L’ottima scheda video Arm Mali T760 restituisce un ottima resa grafica nonostante sia difficile con un display cosi risoluto. Ottima l’esperienza videoludica con questo terminale che sembra quasi non essere mai messo sotto stress, nemmeno con giochi pesanti che sprigionano una grafica davvero dettagliata. Una sola parola : Perfetto.

 

BROWSER : VOTO 9 

Come facilmente intuibile l’esperienza browser è di altissimo livello, merito dell’ottimo processore di cui è dotato questo fantastico terminale. Mai rallentamenti impuntamenti o incertezze, nemmeno con il doppio tap. Affidabile e godibile l’esperienza internet, sicuramente agevolata anche dall’ampia diagonale offerta dallo schermo.

 

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FOTOCAMERA : VOTO 9

Anche in questo segmento abbiamo il massimo della tecnologia in circolazione. La camera posteriore di Galaxy s6 edge Plus è la migliore sul mercato, offre prestazioni senza precedenti. A livello hardware abbiamo nel retro una rear camera da 16 Mpx con apertura f 1.9 e una camera anteriore da 5mpx. Le immagini immortalate con questo device sono sempre nitide e ben definite anche quando andiamo a zoomare o importiamo le stesse sul nostro computer. Le Macro sono spettacolari e offrono anche un ottimo effetto sfuocato alle spalle del nostro soggetto. Di seguito passeranno immagini in formato originale cosi che possiate valutare stesso voi la genuinità delle stesse. Le fotografie in notturna sono discretamente buone anche se raccolgono un pò di rumore sullo sfondo abbastanza fastidioso.La camera anteriore è ottima per i selfie anche in condizioni di poca luce.

ECCO LA GALLERIA CON FOTO ORIGINALI : 

 

 


AUDIO : VOTO 9

Finalmente siamo tornati alla posizione migliore di locazione dello speaker di sistema. La cassa acustica torna sulla zona inferiore dello smartphone, facendo cosi in modo che il suono non venga strozzato quando il terminale viene posato su ripiani fonoassorbenti. Detto questo bisgona sottolineare un ottima resa in termini qualitativi e la presenza di bassi più corposi. Ottima anche la potenza della riproduzione audio. Capsula auricolare sempre perfetta e performante.

CONCLUSIONI :

Certo non è il Note 5, ma questo S6 Edge Plus non è un telefono da sottovalutare per l’utenza business. L’ampia diagonale dello schermo e la potenza del device in generale offrono un’ottima esperienza Smart a tutto tondo. Ottimo per qualsiasi circostanza, elegante e potente S6 Edge Plus sicuramente rapirà il vostro cuore tecnologico.

Samsung Galaxy A7: La nostra video recensione

By Tecnologia

Sono rimasto davvero impressionato da questo ennesimo smartphone di casa Samsung. Forse, nonostante il brand sud koreano abbia intasato gli scaffali di nuovi smartphone, questo Galaxy A7 può rappresentare un vero passo in avanti nel segmento medio alto del mercato. Prezzo non troppo pretenzioso ( circa 400 euro online ) per un device che offre un comparto hardware di tutto rispetto. Senza scendere troppo nei dettagli, bisogna sottolineare la perfetta costruzione in alluminio che si sposa bene al rinnovato design che contraddistingue la gamma A. Questo device somiglia moltissimo al famoso e non troppo obsoleto Galaxy Note 4. Infatti ad una prima vista e ad un occhio poco esperto Il Galaxy A7 potrebbe tranquillamente passare per il Note 4 se non fosse per la mancanza del pennino ( S pen ). Molti clienti infatti hanno da sempre evidenziato quanto a loro parere fosse stato inutile il pennino e per questa ragione si può comprendere la scelta da parte di Samsung di produrre questo device e il nuovissimo Galaxy S6 edge Plus.

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Partiamo con la recensione nel dettaglio :

FORM FACTOR : VOTO 9 

Come largamente anticipato prima, questo device può contare su una costruzione notevole sia per quanto riguarda i materiali e sia per il design elegante e lineare. Samsung quest’anno ha davvero azzeccato tutto in termini di design per i propri smartphone, e questo Galaxy A7 nè è l’ennesima prova. Sorprendente il feed dei tasti del bilanciere del volume e del tasto power/off, sempre molto reattivi e mai ballerini. Elegante in ogni sua angolazione regala all’utente la tanta agognata sensazione Premium soprattutto grazie all’alluminio che lo ricopre.

 

DISPLAY : VOTO 8.5

Samsung negli anni è divenuta maestra nel dotare i propri device di ottimi pannelli schermo. Il Galaxy A7 ospita un fantastico SuperAmoled con risoluzione FHd 1920 x 1080 ( 401 ppi ) rivestito da un ottimo Gorilla Glass 4.Senza troppo dilungarci sulla qualità dello schermo ( ai più evidente e palese ), bisogna evidenziare quanto la casa Sud koreana invece sia stata scaltra a montare un unità con risoluzione non proprio al top della tecnologia proprio per guadagnare in termini di autonomia. Sappiamo bene che la risoluzione FHd su schermi con questa diagonale sia più che sufficiente.

 

BATTERIA : VOTO 7.5

Nonostante la batteria sia una ”misera” unità da 2600 Mah, questo smartphone alza bandiera bianca alle 19.00 circa ( con uso intenso ). Questo proprio grazie all’ottima scelta dello schermo FHd e al duro lavoro diottimizzazione software.

HARDWARE : VOTO 8.5

Processore proprietario Samsung Exynos 5 Octa 5430, scheda video Mali T 628 MP6, 2 GB di ram e 16 GB rom per una scheda tecnica che fa impallidire anche smartphone top di gamma di altri brand. Il tutto ben ottimizzato e senza problemi di sorta. Nessun problema di lag o rallentamento anche dopo dure e lunghe sessioni di gaming. Giochi anche tra i più pesanti girano a meraviglia e le temperature medie riscontrate sono sempre accettabili. La batteria non è rimovibile ma nonostante ciò non si perde l’espansione di memoria mediante MicroSd ( 64 GB max ).

ECCO LA NOSTRA VIDEO RECENSIONE

 

BROWSER : VOTO 8 

Come facilmente intuibile l’esperienza browser è di altissimo livello, merito dell’ottimo processore di cui è dotato questo fantastico terminale. Anche se a volte ci sono dei piccoli rallentamenti, nulla di grave o increscioso che potrebbe inficiare la valutazione in questa prova. Affidabile e piacevole l’esperienza internet, sicuramente agevolata anche dall’ampia diagonale offerta dallo schermo.

FOTOCAMERA : VOTO 7.5

Sicuramente non all’altezza degli ultimissimi Top di gamma, anche perchè questo Galaxy A7 non potrebbe essere definito medio-gamma. Detto questo però non significa che le prestazioni non siano buone o quantomeno scarse e inaccettabili. Anzi, durante le prove la fotocamera mi ha piacevolmete sorpreso proprio perchè pensavo fosse una 13 megapixel sottodimensionata o comunque non alla pari dei precedenti top di gamma della stessa casa. Di seguito passerrano Immagini in formato originale cosi che possiate apprezzare voi stessi la genuinità degli scatti. Ottima, infine, la fotocamera anteriore da 5 mpx per gli autoscatti. Moltoluminosa ed efficace in ogni circostanza.

 

 

 

AUDIO : VOTO 7.5

Seppure nella parte posteriore la collocazione dello speaker di sistema ( posizione da sempre poco gradita ), è necessario evidenziare che la cassa non soffre di nessun tipo di soffocamento poichè vi è la fotocamera posteriore a fare da spessore. Sicuramente non proprio un ottima scelta di stile la sporgenza della camera posteriore però dà i suoi frutti sia in termini meramente fotografici e sia per la resa dello speaker in termini di potenza. Tutto sommato l’audio è di buona qualità, ho particolarmente apprezzato la corposità dei bassi senza che gli alti venissero distorti.

CONCLUSIONI : 

Ottimo compromesso tra prestazioni e prezzo, consgiliato a tutti coloro che non vogliono per forza sborsare una cifra folle per uno smartphone e vogliono accappararsi comunque un device non troppo obsoleto. Anzi in questo caso abbiamo prestazioni da top di gamma e aggiornamenti comunque assicurati per almeno un paio di anni ( salvo sorprese ). Galaxy A7 si aggiudica il nostro marchio Best Buy.

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